Familiari curanti. Come faremmo senza?
Senza di loro la qualità di vita delle persone che accudiscono peggiorerebbe sensibilmente. Senza parlare della conseguenze per il sistema sanitario.
Di laRegione
Pubblichiamo un contributo apparso su Ticino7, disponibile anche nelle cassette di 20 Minuti per tutto il fine settimana.
Come esseri umani nasciamo bisognosi della cura altrui, e nel corso della vita il confronto con questa necessità può ripresentarsi più volte. «Siamo stati tutti dei gridi perduti nella notte» scrive Massimo Recalcati riprendendo Jacques Lacan; «la vita può entrare nell’ordine del senso solo se il grido viene raccolto dall’Altro, dalla sua presenza e dal suo ascolto».
La voce di Cristina è salda quando condivide la propria esperienza davanti a un folto pubblico: «Trascorrevo giorni e notti intere accanto a mio figlio adolescente, a volte stavo al suo fianco svariate ore senza dire niente, mi sentivo impotente, ma sapevo che per lui era importante la mia presenza. Ero il suo punto di riferimento, mi guardava durante le visite dei medici per cercare il mio sguardo, per tranquillizzarsi». Il suo rapporto con Matteo, dopo che a 16 anni gli viene diagnosticato un tumore, diventa strettissimo. Ora lui è un giovane uomo e sta bene, ma il percorso della malattia è stato lungo e doloroso, costellato di interventi, terapie, ricadute e continui esami. «Io e mio marito ci siamo sentiti soli e smarriti innumerevoli volte, soprattutto quando dovevamo prendere decisioni urgenti, anche se da parte del personale della clinica abbiamo avuto un grande sostegno. Pure la scuola di Matteo, le mie colleghe e il mio datore di lavoro ci sono venuti enormemente incontro», un esempio di sforzi comuni tesi verso la conciliabilità. Fondamentale per non crollare, aggiunge, «è stato il supporto della mia psicoterapeuta e quello del mio psichiatra che in un momento particolarmente critico mi ha prescritto di interrompere temporaneamente l’attività professionale».
Una risorsa insostituibile
Il 30 ottobre si è tenuta in Ticino la Giornata dei familiari curanti e questa è la testimonianza di una delle ospiti dell’evento organizzato dalla Divisione dell’azione sociale delle famiglie, che fa capo al Dipartimento della sanità e della socialità (Dss). Le parole di Cristina, come quelle delle altre due donne invitate a intervenire, hanno il peso specifico del piombo, si sedimentano nel profondo di chi ascolta con tutto il carico di sofferenza e coraggio di cui sono costituite. La Giornata è stata voluta dal Cantone per mettere in luce l’impegno di coloro che si prendono quotidianamente cura di un congiunto con problemi di salute o perdita di autonomia, fornendo sostegno fisico, psicologico ed emotivo. È un riconoscimento e un ringraziamento a queste persone che spesso lavorano nell’ombra e in silenzio, senza le quali la qualità di vita di chi beneficia delle loro cure si vedrebbe sensibilmente ridotta e al contempo il sistema sanitario non potrebbe stare in piedi in quanto i costi esploderebbero. L’Ufficio federale della sanità pubblica quantifica in almeno 600mila (di cui la maggior parte donne) i familiari curanti in Svizzera che regolarmente si prendono cura di una persona cara e stima che ogni anno questi forniscano gratuitamente 80 milioni di ore di assistenza che se dovessero essere remunerate corrisponderebbero a circa 3,7 miliardi di franchi: un impatto immenso. Considerando poi che con l’invecchiamento della popolazione saremo sempre più confrontati con un crescente bisogno di cure, è indispensabile cercare di capire in che modo valorizzare questa preziosa risorsa che va a beneficio dell’intera collettività, includendola nell’equazione per affrontare la sfida dell’evoluzione demografica.
Antonella – è la seconda testimonianza – improvvisamente si è trovata con una mamma quasi bambina. Lasciando trapelare un misto di tenerezza e sfinimento racconta: «A 78 anni, dopo un’ospedalizzazione, mia mamma è tornata a casa con una diagnosi di demenza senile e tendenza all’Alzheimer, d’un tratto non più autosufficiente: da quel momento bisogna imboccarla, vestirla, portarla in bagno, lavarla, fare attenzione a ogni suo spostamento. Non lavorando, mi sono assunta io l’incarico di seguirla». Un atto d’amore per permettere a colei che l’ha cresciuta una senilità serena in quello spazio domestico che la conforta. Nella sua testa le cose si mescolano, lucidità e ordine talvolta sfuggono, «ma la mamma sta bene, è circondata da affetto e ci riconosce ancora; in casa anziani non la voglio portare perché ho paura che si lascerebbe andare». Una decisione ritenuta «naturale», ma dalle implicazioni enormi, in primo luogo a livello di rinunce: «All’inizio ero disperata per questo cambiamento, esistevo solo per occuparmi di lei, ero esausta, ho passato settimane a piangere, non potevo lasciarla sola un attimo nemmeno per scendere in lavanderia o andare a buttare la spazzatura». Poi, per caso, Antonella entra in contatto con Pro Senectute e insieme trovano alcune soluzioni pratiche per migliorare la situazione; «fino a quel momento non sapevo nemmeno esistesse il concetto di familiare curante», afferma un po’ sconsolata.
Prendersi cura di chi cura
Informazione e sensibilizzazione sono da incrementare, e il Dss sta investendo su entrambe per ovviare alla diffusa carenza di consapevolezza anche e soprattutto all’interno di questa stessa realtà. Quella del familiare curante è spesso un’attività difficile e destabilizzante, a cui non di rado si accompagna l’insorgere di diverse problematiche. Queste possono essere sensazione di sovraccarico e grande stanchezza, solitudine, isolamento sociale, senso di colpa e di inadeguatezza, trascuratezza degli altri affetti e di sé stessi a scapito del benessere e della realizzazione personali.
Per preservare la propria salute fisica e mentale, e avere le energie per continuare ad assistere il proprio caro, è fondamentale concedersi del tempo per rigenerarsi, riconoscere e gestire le emozioni legate al prendersi cura e al far fronte ai cambiamenti nel percorso della malattia o della disabilità. Sul nostro territorio esistono numerosi enti e associazioni che lavorano in questo ambito e sono pronti a tendere una mano con una serie di servizi e prestazioni che vanno dalla consulenza allo sgravio a domicilio, dalle proposte formative ai servizi di appoggio. Dal 30 ottobre si trova in rete un nuovo sito creato appositamente per fornire informazioni in merito (vedi correlato).
Si tratta di aiuti che possono fare la differenza, come emerge anche dalla storia di Maria – altra ospite della Giornata – che è a fianco di sua figlia Nicoletta dal giorno della sua nascita, 24 anni fa. Nicoletta presenta un ritardo cognitivo associato a una diagnosi di autismo che la rende non autosufficiente. In settimana – «quando riesco a metterla sul pulmino» dice Maria – frequenta un centro diurno dell’Otaf, il resto del tempo è la mamma ad occuparsene. «Sono dell’idea che per lei il posto migliore dove vivere sia a casa, che la medicina più efficace sia avere vicino me e suo papà, che le vogliamo bene e la capiamo anche nei momenti di disagio e difficoltà».
Momenti che con l’arrivo dell’adolescenza si sono fatti più frequenti: Nicoletta ha cominciato ad avere degli episodi di aggressività e a non volersi più separare dalla mamma, perdendo ad esempio il piacere di partecipare alle colonie estive. «L’ultima volta ho impiegato mesi a programmare tutto nei minimi dettagli assieme ai diversi operatori, ma il giorno dopo la partenza mi hanno chiamata perché era in crisi totale. Sono partita in auto con mio figlio, ho fatto Lugano-Firenze in lacrime chiedendomi dove avevo sbagliato; lei stava male e pure io perché era un anno che aspettavo quella settimana per riprendere fiato: un fallimento. Al ritorno ho chiamato Pro Infirmis che mi ha proposto una colonia di un weekend al mese, creata ad hoc intorno ai bisogni delle persone con autismo e per sgravare i familiari. Sta andando a meraviglia, era proprio ciò che ci voleva, sono contentissima – dice manifestando un sollievo commovente –. Il primo fine settimana l’ho passato interamente tra il letto e il divano».
Ponti tra isole
I familiari curanti sono una risorsa importantissima anche per l’ambito medico, spiega Riziero Zucchi, professore all’Università di Torino. «Per affrontare al meglio la disabilità o la malattia – argomenta – sono necessarie le conoscenze scientifiche dei professionisti, ma anche quelle di tipo concreto dovute all’esperienza: i familiari curanti, passando regolarmente tempo con la persona assistita, la conoscono in molteplici suoi lati e acquisiscono competenze che magari il personale formato non ha. È dunque fondamentale che l’ambito sanitario e sociale riconoscano il valore dei familiari curanti come interlocutori validi, persone con saperi complementari a cui bisogna attribuire dignità. Per questo è necessario formare e sensibilizzare gli operatori in tal senso, e incoraggiare i familiari ad esprimersi».
Inoltre, al di là delle problematiche, i familiari curanti conoscono la storia umana del proprio congiunto e la possono testimoniare. Come ha voluto sottolineare Danilo Forini, direttore di Pro Infirmis, «coloro che beneficiano delle cure non sono solo dei pazienti, dei beneficiari, degli assicurati, ma dei concittadini preziosi, delle persone che partecipano appieno a creare la ricchezza umana della nostra collettività. Occorre imparare a considerarli non solamente come portatori di bisogni a cui rispondere – d’altronde il paradigma per cui si è o sani o malati è desueto –, ma anche e soprattutto attraverso le loro abilità e competenze, come individui con un ruolo e un posto attivo nella società. Uno Stato sociale è solido e forte non solo se è in grado di rispondere alle necessità, ma se riesce al contempo a individuare e valorizzare le risorse individuali dei singoli cittadini, anche quelli più fragili».
CHI SONO E COSA FANNO
Il termine familiare curante (l’equivalente in italiano di family caregiver) si riferisce a chi presta regolarmente assistenza, sorveglianza e accompagnamento, a titolo non professionale e in maniera totale o parziale, a una persona dipendente da terzi. Nella maggior parte dei casi questa figura ha un vincolo di parentela con la persona assistita: possono essere genitori che accudiscono figli bisognosi, oppure figli e nipoti che si occupano di genitori, zii, nonni, o ancora l’aiuto trasversale tra fratelli, coniugi o conviventi; sono compresi nella categoria anche amici, vicini o conoscenti che prestano accudimento. Grazie alle prestazioni del familiare curante la persona bisognosa di assistenza può continuare a vivere al proprio domicilio. Sotto lo slogan «Con te io posso», lo scorso 30 ottobre è stata indetta in Ticino, in concomitanza con altri cantoni, una Giornata dedicata al tema, rivelatasi una valida opportunità per incentivare il dialogo e la riflessione su questa realtà spesso sottovalutata.
Da poco è attivo il nuovo sito ti.ch/familiaricuranti, dove si trovano le principali misure di sostegno presenti nel cantone e/o a favore dei familiari curanti.