Mauro Romano, l’uomo che fa

Una passione per il legno trasmessagli dal padre e un ottimismo che dispensa a chi lo circonda. Legge per credere…

Di Natascia Bandecchi

Ci sono profumi che catalizzano istantaneamente ricordi che pensavi di aver dimenticato. Uno di quelli, per me, è il profumo della segatura. Ricordo da piccola quando andavo a trovare mio nonno paterno in falegnameria. Era sempre festa rendergli visita, e sentire quell’odore familiare. Incontrare Mauro nel suo «laboratorio creativo» mi ha catapultata indietro nel tempo. Un tempo che è scandito dal ritmo della musica latino-americana, che ci farà compagnia per tutta la nostra chiacchierata. «Ho iniziato a ballare con mia moglie 6 anni fa, salsa, bachata, e da poco ha fatto breccia nei nostri cuori il tango: abbiamo iniziato con dieci lezioni e non abbiamo più smesso, siamo stati contagiati dal virus argentino».

Lavorare il legno
Idealmente il falegname non è solo quell’artigiano che lavora il legno, è un artista, una persona di fiducia a cui affidare le proprie idee, che verranno poi trasformate in realtà. Nonostante il passare del tempo, questo antico e nobile mestiere che associamo a San Giuseppe, e al babbo di Pinocchio, viene spesso tramandato di padre in figlio. «Per me lavorare il legno è una passione innata, fa parte del mio DNA, mio papà aveva mani d’oro»: Mauro inaspettatamente si commuove mentre parla di lui, che da quasi 19 anni non c’è più. «Mi dispiace non sia più qui, lo chiamavo koala, gli assomigliava: lunghe basette, naso a patata, ciuffetti in testa. E poi era una persona di cuore». «Per fare il legno ci vuole un albero», così cantava Sergio Endrigo negli anni Settanta. Legno che è il più antico materiale di costruzione della storia dell’uomo. «Mentre ti parlo con la coda dell’occhio guardo queste assi di acacia, che diventeranno un tavolo e delle sedie da giardino. Non vedo l’ora di metterci le mani e vedere il risultato finale. Il cliente, come me, è contento. E aspetta impaziente la creazione finita». 
L’industrializzazione, il voglio-tutto-e-subito, il mercato low-cost, sono delle minacce costanti per i piccoli artigiani, che puntano su elementi che oggi sembrano fuori moda: la ricerca della qualità, la fiducia, il prendersi il tempo necessario per esaudire la richiesta del committente, e trovare la giusta ispirazione. «Il progresso c’è e non si può far finta che non esista. Ci sono i grandi marchi, la concorrenza delle aziende estere. È ovvio, non potrò mai competere con i loro prezzi e i tempi di fornitura. Qui ci siamo solo io e i miei due figli e non vorrei mai fosse diverso da come è oggi, il mio lavoro lo amo, ma non voglio esaurirmi per raggiungere chissà quali vette: preferisco stare nel piccolo e godermi la vita. Sennò quando vado a ballare?».

L’arte della trasformazione
Comprendere e interpretare il desiderio di un cliente non è sempre facile per un artigiano. «Il 99% delle volte sono io che vado da lui, ho bisogno di conoscerlo attraverso il luogo che abita, che sia il suo ufficio, casa sua o un cantiere appena nato. Parlare e conoscersi è fondamentale per entrare in empatia e sentire davvero qual è il suo desiderio, la sua idea». Mauro adora creare cucine, anzitutto perché ama cucinare e poi perché, in uno spazio a volte limitato, si devono far stare la comodità, una certa estetica e dulcis in fundo la praticità. In 36 anni di attività Mauro ricorda di quella volta che un cliente gli chiese di smantellare un armadio di fine Ottocento dipinto da un suo avo. «Erano almeno 20 ante, non me la sono sentita di distruggerlo e buttarlo via, pensavo al lavoro certosino per dare vita a quel mobile coloratissimo e meraviglioso. Il tempo è prezioso e polverizzarlo in un attimo mi sembrava un sacrilegio: oggi parte di quel mobile rivive in un armadio di casa mia».

Un po’ di Ticino a sud del Venezuela
Essere nel posto giusto al momento giusto per cogliere un’opportunità che può cambiare prospettiva sull’esistenza. «Era il 2000, io e mia moglie partecipammo a una riunione dell’Associazione Pierre. Cercavano volontari per un progetto di falegnameria in Venezuela, a El Tigre. Non ci ho pensato un attimo, un’intuizione, guardo Manuela – mia moglie – e le dico che era una chiamata per noi. Nel 2001 impacchetto la falegnameria, famiglia al seguito e voliamo alla volta del Sud America, dove ci aspetta un’avventura incredibile che è durata un anno». 
Mauro è la persona di riferimento che costruisce uno stabile con bottega artigiana alla Geppetto dove i ragazzi del posto (spesso orfani e piccoli delinquenti strappati via dalla strada) imparano un mestiere: il falegname. «È stato fantastico vivere quest’esperienza non da solo. Ho dato tanto, ma ho ricevuto infinita esperienza di vita che mi ha colmato il cuore».

IL PERSONAGGIO
Mauro Romano, nato nel 1958, originario di Taverne. Sposato da 38 anni con Manuela, 4 figli, i due maschi lavorano con lui in «bottega». Nelle vene e nell’anima ha sangue meridionale, suo papà Nicola era napoletano e, oltre ad avergli trasmesso un ottimismo contagioso, gli ha passato l’amore per il legno che ha trasformato in lavoro dai primi anni Ottanta nella sua azienda di famiglia, che allora si chiamava Falegnameria Artigiana e dal 2012 porta il nome di Tubit Sagl.

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