Lou Reed e la macchina infernale
Apparso nel 1975, ‘Metal Machine Music’ è un disco spiazzante e controverso. Un rigurgito rumoristico, senza parole e privo di melodie
Di laRegione
Pubblichiamo un contributo apparso su Ticino7, disponibile anche nelle cassette di 20 Minuti per tutto il fine settimana.
Metal Machine Music (RCA Records, 1975)
Quando il disco è comparso, per molti Lou Reed era il cantore della disfatta. Gli album Transformer (1972) e Berlin (1973) lo avevano elevato a leggenda vivente, come se non fosse bastato quanto fatto coi Velvet Underground in compagnia di John Cale. Ma in Metal Machine Music i paradigmi sono altri, lontani dalle canzonette del piatto Sally Can’t Dance (1974), più vicini al rumorismo sinfonico di «Sister Ray», brano seminale dei Velvet registrato nel 1967 e apparso nel secondo disco del gruppo (White Light/White Heat; il più sperimentale della loro carriera).
E infatti alla sua uscita non pochi lo riportarono nei negozi, reclamando per «la truffa» sonora della quale si sentivano vittime… Eppure, bastava leggere il sottotitolo per dubitare dei territori nei quali Reed stava navigando: The Amine Beta Ring – An Electronic Instrumental Composition. In pratica l’album è costituito da distorsioni e rumori chitarristici suonati a differenti velocità: melodia pari a zero, addio formato «canzone». Una cacofonia sonora in 4 parti – una per lato sull’originale doppio vinile – e tutte della stessa durata (16 minuti e 1 secondo). Le chitarre hanno accordature inusuali e sono «suonate» su diversi livelli di riverbero fino a renderle irriconoscibili. Poi appoggiate agli amplificatori e lasciate al loro destino… Il muro del suono è assicurato. Da notare che sempre nel formato in vinile l’ultimo brano suona all’infinito, poiché il solco non ha fine; solo chi ascolta può decretare la morte dell’amplesso sonoro.
Lavoro certamente influenzato dalle ricerche minimaliste di La Monte Young, il disco fu una provocazione punk prima del punk, un mistero sonoro diventato fonte ispiratrice per la scena musicale industriale ed elettronica, dall’Europa all’Asia. Un esercizio punitivo/autolesionistico che ancora oggi non lascia indifferenti. La sua grandezza, in fondo, sta tutta qui.
PS: nelle note del disco Reed scriverà (tra le altre cose): “No one I know, including myself, has listened to it all the way through. It is not meant to be”. Vi serve altro? Sedetevi, mettete le cuffie, chiudete gli occhi e provate a liberare la mente…