Gente di circo
Uno sguardo sotto al tendone, dove clown e acrobati continuano a sostituire “la vita con il sogno”
Di laRegione
Pubblichiamo un contributo apparso su Ticino7, disponibile anche nelle cassette di 20 Minuti per tutto il fine settimana.
Il circo è, per parafrasare Fellini, il modo più stravagante di mettersi in competizione con Dio. Si mette in scena quello he il mondo ha di più bizzarro, si mostrano gli esseri più lontani possibile dalla natura conosciuta e si domanda al corpo umano di dimenticarsi le ossa, la carne, la forza di gravità. Il circo porta esotismo, ma questo concetto, dopo aver pescato sempre più lontano, ora torna a cercarsi vicino, prende la lente di ingrandimento e mostra che il fantastico è ovunque.
Segatura e popcorn
Un tempo bastava portare un elefante (o una donna «cicciona») in scena per destare meraviglia. Oggi però il circo non cerca lontano qualcosa di stupefacente, perché l’esotico non è più una questione di corpi strani o di geografia. «Stupire è sempre stato difficile», spiega Ivan Knie, che vado a trovare a Lucerna, tra una prova e l’altra con i suoi cavalli. Sì: in estate. Per me che sono cresciuta in Ticino vedere il tendone del Knie sotto il cielo splendente è un controsenso. Qui a sud siamo gli ultimi della tournée, e il circo arriva per consolarci dalla pioggia; non c’è profumo di segatura e popcorn senza quella sensazione di pantaloni bagnati sulle ginocchia. E invece i bambini svizzero tedeschi e romandi legano il circo alla primavera e all’estate… Comunque, chiusa la parentesi; spiegava Ivan Knie che nelle fiere bastava esibire i mostri, al circo invece c’è sempre stato bisogno di qualcosa di più.
Vite sul filo
Ivan è l’ottava generazione della sua importante famiglia. Il suo avo tirò il primo filo in aria nel 1803 e si esibì come funambolo. Dopo più di un secolo, il rappresentante della quarta generazione decise di comprare un tendone a Berna e di fare spettacolo al coperto, con numeri diversi e animali. Era il 1919 e i Knie davano inizio a quello che oggi, altri 100 anni dopo, possiamo definire il nostro circo nazionale. «Stupire al circo è sempre stato difficile», dice Ivan, «perché richiede abilità che bisogna esercitare ogni giorno e arte che va cambiata ogni anno. Bisogna cambiare sempre tutto per non mutare l’effetto di sorpresa. Noi vogliamo sostituire la vita con il sogno e innescare tutte le emozioni in un colpo solo; per riuscirvi, dobbiamo amare il nostro mestiere, guardare gli altri che lo fanno e avere fantasia. Soprattutto, dobbiamo interessarci alla musica: la musica è fondamentale per i nostri numeri. Se trovi quella sei a metà dell’opera, perché è l’ambiente, la scenografia, il luogo dove mettere dentro il tuo numero».
Altri circhi possibili
La meraviglia arriva da piccole situazioni di sogno. Dalla sfida agli elementi. Da luci, musiche, grazia e potenza. Dall’illusione. Lo scorso marzo al Teatrino di Olivone ho assistito a uno spettacolo piccolino, di una coppia di clown che parla un italiano buffo e suona una miriade di strumenti musicali, con la figlioletta appoggiata al muro che ascoltava, rideva e poi si appisolava. Lo spettacolo, della compagnia Wakouwa Teatro, si intitola proprio Very Little Circus, e la coppia di artisti sono Naïma Bärlocher e Gerardo Tetilla. Fanno l’essenza del circo, del teatro di strada. Portano gioia e comicità, poi stupiscono perché sono capaci di saltare, fare acrobazie, jonglage.
Si sono conosciuti sette anni fa alla scuola Dimitri, si sono innamorati e hanno iniziato a lavorare anche insieme, fondando famiglia e fondendo vita e lavoro. In seno alla scuola Dimitri, insieme ad altri acrobati, teatranti e musicisti hanno fondato l’Associazione svizzera Clown senza frontiere.
In ogni stagione, in ogni luogo
Ridere è umano, universale, non conosce confini nazionali o religiosi: per questo i clown che valicano i passi doganali, i posti di blocco e si intrufolano tra la popolazione dei paesi che vivono disgrazie hanno il diritto e il potere di portare un sorriso ovunque. Sono stati nelle zone terremotate del Salvador, del Nepal, in Siria, Brasile, Argentina, Albania e nei campi profughi in Grecia; soprattutto i bambini hanno bisogno di ripartire con una speranza. E la speranza non c’è se non c’è uno scintillio di felicità: poter ridere significa iniziare a credere che sarà possibile farcela. «La mattina siamo in una prigione, al pomeriggio in ospedale, poi in una scuola, alla sera finiamo in piazza…», racconta così un esempio di giornata Gerardo Tetilla. «Alcuni non hanno mai visto un clown: non sanno proprio cosa sia. Ma alla fine dello spettacolo diventiamo tutti una famiglia».
Un uomo un giorno gli ha detto: «Ci aiutate a recuperare la nostra mente». E un altro: «Prima che arrivaste, i nostri bambini giocavano alla guerra, ora giocano a fare i clown». Insegnano trucchi di magia, di giocoleria, scherzi e pirolette. «Proviamo a curare le esperienze traumatiche causate da guerra e sradicamento», dice Gerardo, «semplicemente perché ci sta a cuore il mondo in cui stiamo vivendo».
I BAMBINI DEL CIRCO
Ivan Knie è nato al circo e mette il circo davanti a tutto. Parla italiano con suo padre, Ivan Pellegrini, e anche con sua madre, Géraldine Knie, ma come tutti al circo conosce almeno altre tre lingue benissimo e ne mastica una qualcuna in più. Ha appena festeggiato i suoi 18 anni con tutta la famiglia allargata che condivide con lui casa, lavoro, spazio e giornate. Hanno banchettato e ballato per tutta la domenica. Mi porta a vedere la sua scuola, quella che ha finito non molto tempo fa. È dentro a un carrozzone identico a tutti gli altri che sono gli appartamenti, gli uffici, il gabinetto, il locale tecnico ecc. Ci sono tre banchi da due posti, la cattedra, un lavandino, gli appendigiacche, un orologio da parete e qualche scaffale di libri. Appesa al muro la mappa della Svizzera e quella del mondo. Tutti i bambini vanno a scuola insieme, elementari e medie. Ivan si ricorda che un anno erano solo in 2, altri anni fino a 7. Il programma è ricalcato su quello delle scuole di San Gallo e durante l’inverno i bambini stanno insieme ai loro coetanei nelle classi di Rapperswil. «Per noi quel periodo è importante, perché ci insegna a integrarci», racconta Ivan Knie; «quando stai sempre con bambini che conosci, in un piccolo gruppo di età diverse, è più facile, mentre entrare in una classe di 20 coetanei richiede di lavorare sul tuo carattere. È bello anche vedere com’è il mondo là fuori e stare con bambini che non sono del nostro mestiere. Però sono sempre stato felice, all’inizio della primavera, di tornare alla mia vita, in tournée, cambiando città ogni pochi giorni», sorride.
IL CASO – Lo spettacolo e gli animali
«Chi critica la presenza di animali al circo vuole farsi solo pubblicità, perché chi ama gli animali li tiene con sé. Io adoro gli elefanti, hanno l’intelligenza di un bambino di 4 anni. Pensate che uno costa 160mila euro, perché dovrei trattarlo male?»: queste erano le parole di Moira Orfei, la regina del mondo circense italiano.
Ivan si sente animalista, dice, perché adora i suoi cavalli, e mi racconta la loro giornata: la mattina giocano, a mezzogiorno mangiano, al pomeriggio hanno tempo per sé e la sera fanno spettacolo, poi nanna, e l’indomani dopo si riparte. «Ci criticano perché usiamo la frusta, ma serve solo per toccarli. È un prolungamento del braccio. Il mio segnale per dirgli di venire a me è una carezza sulla pancia e così gliela posso comunicare anche se sono a qualche metro. Le nostre prove durante il giorno sono pubbliche, tutti possono venire a vedere. Agli elefanti abbiamo rinunciato perché le città sono sempre più abitate e ci danno sempre meno spazio. Così vedevamo che per il loro benessere non potevano più venire con noi in tournée. E poi è vero che una volta l’elefante lo vedevi solo al circo, mentre adesso grandi e piccini lo hanno già visto almeno in video».