Latino sì, latino no?
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Di laRegione
Io propendo nettamente per il sì. Lo dico quasi solo per esperienza personale, non come bilancio di studi e letture di tipo linguistico o socio-culturale. Ma è un’esperienza personale gravida di fattori a mio giudizio di portata universale. Mi spiego. I livelli di straordinaria utilità del latino sono almeno due. Il primo è quello logico: devo allo studio del latino una grande passione e una certa competenza nell’uso della logica. Non appena nella costruzione delle frasi e dei periodi, nella coniugazione dei verbi, nella declinazione degli aggettivi. Ma, anche nella capacità argomentativa. E scusate se è poco, vista l’importanza della lingua e dell’argomentazione per qualsiasi persona voglia comunicare efficacemente con i suoi simili. È stato un apprendimento progressivo, durante gli anni delle medie e del liceo, anche perché il latino è una lingua di tale radicale logicità da richiedere un avvicinamento attraverso lo studio intenso di analisi grammaticale, logica e del periodo. Il secondo livello di utilità riguarda la coscienza etimologica, senza la quale la padronanza di una lingua è sempre traballante e un po’ patetica. Quasi tutta la nostra lingua italiana affonda i suoi etimi nel latino. Ci vorrebbe anche il greco, è vero, ma col latino si può già uscire dalle sabbie mobili di un uso approssimativo, quando non contraddittorio di molte parole che usiamo correntemente. Sarebbe un peccato se le nuove generazioni crescessero senza latino (utile anche per imparare, per esempio, il tedesco). Ricordo il plateale sconforto di un mio prof di liceo che, dopo aver chiesto chi sapesse di latino e greco, vedendo alzarsi poche mani sentenziava: «In questa classe non si può parlare liberamente».
di Claudio Mésoniat