Quel giorno che salvammo il mondo con dadi & frecce
“Affrontavamo i mostri e le trappole che il Master ci poneva davanti come se realmente ne andasse del destino dell’intero universo”
Di Marco Narzisi
Pubblichiamo un contributo apparso su Ticino7, allegato a laRegione
Quasi vent’anni prima che Stranger Things svelasse agli ignari l’esistenza di Dungeons & Dragons (per gli amici D&D) e dei giochi di ruolo, in un garage di paese trasformato in un improvvisato club mi univo, io uno dei pochi “adulti” in mezzo a una schiera di teenager, al gruppo di indomiti eroi impegnati a salvare la Vita, l’Universo e tutto quanto armati di dadi a molte facce, schede scritte a matita pluricorrette macchiate di caffè e qualcos’altro di indefinito, birre e focaccia.
Quel manipolo di avventurieri diede vita un giorno di 17 anni fa a quella che i posteri chiameranno l’Epica Avventura, un viaggio fra foreste elfiche, mari sterminati, regni desertici e gelidi paesaggi nordici per sventare una terribile minaccia incombente non solo sul mondo conosciuto, ma su tutto l’Universo che rischiava di sparire come se non fosse mai esistito. Un’epopea in cui i nostri avrebbero affrontato orde di sanguinari orchi, disgustosi vermi carnivori, demoni vomitati dal peggiore degli inferni e ogni sorta di bizzarra e crudele creatura, uscendone ogni volta vincitori grazie all’unione dei talenti di personaggi di varia natura, alcuni di illustri origini e altri dall’oscuro passato. Lo sfuggente e furtivo ladro di razza halfling Narses (quello stesso che mi pregiavo di interpretare io me medesimo) maestro nel disattivare trappole e scassinare serrature, alla stregona mezzodrago Khilaba con le sue magie, il druido Cahan con il suo potere di dominare la natura, l’indomita ranger Seneksis venuta dalle sabbie del deserto con le sue arti guerriere, il serafico ma letale monaco Kagenui con le sue micidiali mosse d’arti marziali e manipolazione d’energia a formare il nucleo centrale destinato a difendere la Creazione stessa da una minaccia mortale.
Eroi per sempre, marmotte per un giorno
Erano i tempi in cui l’amore e la precarietà non mi avevano ancora portato da questa parte della ramina, e m’ostinavo a stare a galla in un mare di insicurezza, sulla stessa zattera della mia compagna d’allora. Quelle serate attorno a un tavolo armati di schede e dadi, accompagnate da pezzi di rosticceria e abbondanti birre e Coca-Cola non erano solo il nostro svago da squattrinati, ma anche un modo per evadere per qualche ora dalle angosce dell’incerto presente, un raggio di sole fra le nuvole nere dell’indefinito futuro. Affrontavamo i mostri e le trappole che il Master ci poneva davanti come se realmente ne andasse del destino dell’intero universo, passando i giorni prima delle sessioni di gioco a elaborare strategie passando dal “Dai che freghiamo il master” al “Moriremo tutti” in modo abbastanza regolare e spesso pendente verso la seconda ipotesi.
Viaggiare di fantasia per salvare un mondo immaginario era, in fondo, il nostro modo di sentirci eroi (“just for one day”), al di sopra delle quotidiane precarietà e insoddisfazione. I nostri personaggi erano, alla fine, proiezioni epiche di noi stessi e dei nostri vizi e virtù: il mio ladro era tanto generoso quanto caotico e sbadato, la ranger animata da un incrollabile idealismo e inamovibile nei suoi princìpi morali come la sua giocatrice, il monaco era un campione di attitudine zen al pari del suo pacifico burattinaio, e via dicendo. Non serviva inventarsi un carattere per i personaggi: bastava semplicemente essere noi stessi, nel gioco come nella vita reale, con la differenza che nel gioco eravamo eroi famosi in tutte le terre conosciute a cui venivano affidate rischiosissime missioni in cambio di generose ricompense. C’era un brivido quando il dado a 20 facce rotolava urtando bicchieri e bottiglie fino a fermarsi sul risultato che poteva segnare un clamoroso successo o (soprattutto se a tirare era il sottoscritto) un esito tragico simboleggiato dal temutissimo ‘1’: il numero del fallimento critico, della catastrofe imminente, o a volte semplicemente di imbarazzanti “figure di m”… come quando le frecce tirate dal mio sfuggente Ladro finivano in modo del tutto involontario nelle chiappe degli alleati che mi stavano davanti, ciò che generò la prassi “Tira Narses, tutti dietro di lui”. O quando, caduti nell’imboscata degli orchi per un “errore di valutazione” (no, gli orchi non sono ciechi alla luce del giorno), l’ampolla di pozione esplosiva mi scivolò dalle mani rischiando di trasformarmi in un kebab di halfling: situazione risolta dall’intervento della stregona mutata in drago che apparve da dietro la collina con la cavalcata delle Valkirie che Apocalypse Now scansati e decise, incurante dei nostri “nooo aspet…” di soffiare fuoco per incenerire i nemici, nonché i prigionieri dei nemici, ovvero noi. Per la cronaca, in quell’occasione il buon master per punirci dell’incauta sortita, decise di reincarnarci per una singola giocata in animali: a me toccò la marmotta, con il malus di avere la compulsione di incartare o arrotolare qualsiasi cosa mi capitasse in mano, ciò che si rivelò molto utile quando finimmo nel villaggio dei fattoni dediti alla coltivazione dell’Erba Magica, ma questa è un’altra storia…
© M. Narzisi
Momenti di gloria
Ma c’erano anche i momenti di gloria, quando il dado terminava la sua corsa fermandosi sul tanto atteso e desiderato 20, il numero del successo pieno, il segno cabalistico della botta di culo: risultato che impone un secondo tiro che, se a segno, raddoppia il danno inflitto al nemico. Ma se tale tiro si risolve in un altro 20 ne occorre un terzo, quello che fa vibrare i polsi dei giocatori e li fa scattare in piedi con gli occhi incollati al tabellone, il “roll del destino” che prefigura la possibile nemesi di ogni master, l’evento che ha lo 0,01% di possibilità di accadere: il leggendario triplo 20, la combinazione che causa la morte immediata di ogni nemico, anche il più temibile, quella fessura in cui si infila la freccia letale, il punto debole della corazza centrato dal colpo di spada fatale. A noi accadde una volta, nel momento più critico della nostra esistenza come personaggi, di fronte al nemico che da settimane tormentava i nostri incubi e quelli di tutto il multiverso, l’incontro con il quale era stato preceduto da una settimana di corali “Moriremo tutti”: l’Imprevisto, il primo di sette, creature apparse inaspettatamente nel piano della creazione divina e pertanto in grado, con un semplice tocco, di annullare la Creazione stessa fin dal principio, di cancellare l’esistenza stessa di un personaggio come se esso non fosse mai esistito. Mentre le piante appassivano al solo passaggio della creatura, il cielo ci opprimeva come una cappa nera di piombo, il vento si era ritratto quasi a prosciugare il nostro stesso respiro, per la freccia della ranger e le mani della player all’epoca quasi novizia del gioco passò il Destino stesso dei nostri eroi: il primo 20 fu accolto dal master con un sogghigno e alzata di spalle, perché “tanto ha ancora 700 punti ferita”; il secondo portò noi giocatori a scattare in piedi e il master a farsi scuro in volto, poggiare pesantemente entrambe le mani sul tavolo protendendosi in avanti e sibilando: “Tira quel dado”. E Senek lo tirò, quel dado: un rotolamento, un urto contro un bicchiere, le facce che scorrevano man mano che quel piccolo oggettino di colore verde opaco dai numeri sulle facce lievemente dorati percorreva il tavolo, fino a fermarsi là, col suo responso: Venti. Colpo mortale. Fine dei giochi. Un secondo dopo, quella stanza era una torcida brasiliana, con le urla di gioia e gli abbracci di tutti, soprattutto alla ranger ancora parzialmente ignara della portata del suo gesto eroico, e il master che senza una parola lasciava la stanza, tornando dopo almeno dieci minuti e sostituendo alla descrizione della scena finale un sonoro, e sentito: “Questi sono i punti esperienza, andate tutti ‘a fan…’! Ci vediamo settimana prossima”.
Il dado non è più tratto
Come dice Guccini, “ogni storia ha la stessa illusione, sua conclusione” , e quel passatempo, come tutte le belle cose, arrivò al tramonto. Perché, se in quel mondo di fantasia eravamo eroi dalle doti sovrumane, in quello reale eravamo (e siamo) solo persone con difetti e manchevolezze umani, che come nel gioco, a volte fanno ‘1’ sul dado e creano incomprensioni e malintesi (anche irreparabili). Il party si sciolse così, nell’aria tesa di un caldo agosto siciliano di 12 anni fa, e da allora non ho più toccato un dado. Ma gli eroi son tutti giovani e belli, diceva sempre il Vecchio di Modena, e l’Epica Avventura andò avanti con nuovi avventurieri, ma i nostri personaggi rimanevano comunque presenti nella storia, i racconti delle loro gesta continuarono a tramandarsi e a meravigliare i posteri, ed essi stessi, come ci raccontò il Monaco ultimo superstite rimasto nel gruppo, assursero alla gloria immortale di semidei alla fine della campagna, 12 anni dopo il suo inizio. E forse da qualche parte, ancora oggi, in qualche remota zona del Multiverso, un dado rotola ancora, una freccia colpisce una chiappa, ancora echeggia quel grido: “Narses, al prossimo ‘1’ quel dado te lo brucio!”.
COSÈ UN GIOCO DI RUOLO
Ora, prima che qualcuno prenoti per me un posto a Mendrisio, è anche il caso di precisare che si tratta semplicemente di gioco di ruolo, e spiegare cosa sia il suddetto (spoiler: niente che abbia a che fare con il sesso). In un gioco di ruolo, come il celeberrimo cartaceo Dungeons & Dragons, ciascuno dei giocatori interpreta un personaggio all’interno di una data ambientazione, che nel caso di D&D è un mondo fantasy molto simile a quello de Il Signore degli Anelli, con altre razze oltre a quella umana, come elfi, nani, halfling, gnomi e via dicendo. Ogni personaggio è rappresentato da una scheda in cui sono annotate tutte le informazioni “anagrafiche”, e soprattutto le caratteristiche psicofisiche e le abilità e i talenti padroneggiati, tutti espressi in valori numerici determinati in parte casualmente, in parte distribuendo un tot di punti a proprio piacimento. Completano poi la scheda gli oggetti e armi posseduti, gli incantesimi conosciuti e via dicendo. Oltre, chiaramente, al background del personaggio, la sua storia e il suo vissuto che, insieme alle statistiche, lo rendono unico rispetto a tutti gli altri.
A gestire e guidare le gesta dei personaggi è la figura mitica e leggendaria del Master, il creatore della Storia e padrone dei destini degli eroi, a cui pone di fronte, sulla strada verso la gloria, combattimenti con orridi mostri, complessi enigmi e subdole trappole che i Pg risolvono tramite tiri di dadi, fra cui il celebre d20 a venti facce, ai quali aggiungere i bonus numerici di cui sopra per superare determinate soglie (le Classi Difficoltà): il tiro del dado può quindi determinare, alternativamente, un epico successo o un fallimento catastrofico dagli esiti anche letali per il personaggio. Che sia un’avventura “one-shot” da 1-2 sere, o una lunga campagna da decine di sessioni di gioco, alla fine ci si ritrova quasi sempre ad affrontare il Boss finale, il nemico più acerrimo, colui che per settimane o mesi è stato il nostro incubo costante. E se ci si prepara bene, e il dado è propizio, l’universo è salvo. Altrimenti? Schede nuove, altri personaggi, e via di nuovo sui sentieri della fantasia.