Fra Mauro Jöhri, una vita al servizio della comunità cappuccina
Oggi è custode dell’ordine dei frati minori alla Madonna del Sasso di Orselina, negli anni addietro ne è stato ministro a livello mondiale
Di Gino Driussi
Pubblichiamo un contributo apparso su Ticino7, allegato a laRegione
Mauro Jöhri, dell’Ordine dei frati minori cappuccini, è nato nel Canton Grigioni, nel 1947. Ha frequentato il noviziato ad Arco, in Trentino, e ha studiato teologia all’istituto dell’Ordine a Soletta. Dopo l’ordinazione sacerdotale, nel 1972, ha continuato gli studi teologici a Friburgo, Tubinga e Lucerna.
È stato guardiano del convento della Madonna del Sasso, a Orselina, insegnante di religione nelle scuole cantonali, docente a Coira e alla Facoltà di teologia di Lugano.
Nel 1989 è stato eletto superiore dei cappuccini della Svizzera italiana e nel 1995 provinciale dei cappuccini svizzeri, carica cui è stato richiamato anche nel 2005 dopo un periodo di formazione all’Institut de formation humaine intégrale di Montréal, in Canada. È stato ministro generale dell’Ordine dei cappuccini di tutto il mondo, con sede a Roma, dal 2006 al 2018. Terminato il suo mandato, è stato eletto nel 2020 custode dei cappuccini della Svizzera italiana, carica che ricopre tutt’ora.
Appare sempre un po’ improprio parlare di gerarchie in ambito ecclesiale, a maggior ragione in quello dei frati minori cappuccini (la terza grande famiglia dei francescani insieme con i minori tout court e i conventuali), l’Ordine fondato nel 1525, ma le cui radici risalgono a San Francesco d’Assisi. Tuttavia è innegabile che il ruolo più importante svolto da fra’ Mauro Jöhri è stato quello di ministro generale dei suoi confratelli di tutto il mondo per 12 anni. Lo incontro al convento della Madonna del Sasso, dove risiede, e vorrei proprio partire da questo periodo della sua vita per sapere che cosa ha significato per lui essere “capo” – per utilizzare un termine laico – del suo ordine e quali sono state le sue esperienze. “Per me, pensando che ero il successore di San Francesco, è stata una grande responsabilità e sono rimasto sorpreso che avessero scelto me. In un primo momento mi sono detto ‘sarebbe meglio fuggire’ , poi ho accettato e mi sono reso conto che si trattava soprattutto di un servizio, non di essere ‘capo’. Ho avuto così modo di conoscere l’Ordine in tutto il mondo, di incontrare gli altri ministri generali, come pure i responsabili dei gesuiti, dei domenicani, dei salesiani, solo per fare qualche esempio. Per me, che venivo da un paesino di montagna, è stato un notevole allargamento degli orizzonti, perché ho avuto modo di visitare più di cento Paesi del mondo. Ho cercato di dare all’Ordine un’impronta soprattutto fraterna, con delle lettere programmatiche e tematiche che inviavo quasi ogni anno. Insomma, è stato un periodo durante il quale ho dovuto tirare fuori tutte le energie, tutte le risorse che in fondo avevo ricevuto durante gli anni di formazione”.
© Ti-Press / Samuel Golay
In biblioteca
L’infanzia a Bivio
Il paesino di montagna in questione è Bivio, una frazione di 200 abitanti del comune di Surses, situato a 1’800 metri di altitudine sulla strada del passo dello Julier. È lì che Mauro è nato e ha vissuto la sua infanzia. “Quello di Bivio per me è un ricordo bello, luminoso e ogni anno vado a trascorrervi le mie vacanze e a immergermi nelle montagne. In casa mia con la mamma, che faceva la sarta, parlavo italiano e dialetto chiavennasco, perché mio nonno materno veniva dalla Valchiavenna, con mio papà, che era stradino, il romancio. E poi c’è un altro aspetto che mi ha molto segnato: Bivio, dai tempi della Riforma e per motivi politico-strategici, era confessionalmente paritetico tra cattolici e protestanti. Per me è stato importante crescere accanto all’amico evangelico e questo è stato un indubbio arricchimento, direi uno dei regali più grandi che Bivio mi abbia fatto. Pensi che ancora oggi ogni estate con il pastore locale vado a celebrare un culto ecumenico all’aperto nella zona del passo del Septimer. È un momento di incontro, di amicizia, sempre molto apprezzato”.
Ma Bivio è anche il luogo dove è nata la vocazione di fra’ Mauro. “In paese erano i frati cappuccini che venivano a sostituire il nostro parroco quando andava in vacanza. Mi colpivano la loro bontà, la loro semplicità e così è nata in me la convinzione, sin da ragazzo, di voler diventare come loro. Questa è andata velocemente maturando e non mi ha più lasciato. E quando un frate mi ha detto che c’era la possibilità di frequentare il ginnasio dei cappuccini a Faido, non ho esitato, anche se i miei genitori non erano molto entusiasti (avevo 12 anni), poi dopo 5 anni sono entrato nel noviziato ad Arco di Trento, a 21 anni ho fatto la professione perpetua e a 24 sono stato ordinato sacerdote”.
La crisi delle vocazioni
Nella sua lunga attività, Mauro Jöhri ha svolto importanti mansioni a livello regionale, nazionale e internazionale e ha quindi vissuto le varie fasi che hanno caratterizzato la Chiesa cattolica negli ultimi 60 anni, sia positive sia negative. Fra queste ultime c’è un innegabile calo delle vocazioni a partire dagli anni 70 del secolo scorso, anche se la situazione sembra essersi attualmente stabilizzata, tra i francescani ma un po’ in tutti gli ordini religiosi e non solo in Svizzera. Per restare ai cappuccini, secondo gli ultimi dati ve ne sono attualmente circa 10mila nel mondo, un centinaio nel nostro Paese, mentre negli anni 60 erano 800. Una situazione che il religioso ha potuto toccare con mano quando era ministro generale. “È un calo che va di pari passo con quello dell’appartenenza delle persone a una confessione religiosa. Penso che a contribuirvi siano il benessere, l’epoca digitale, l’illuminismo che diventa secolarizzazione e che ci sta profondamente segnando, per non parlare del tristissimo capitolo degli abusi sessuali e della pedofilia nella Chiesa, purtroppo a lungo da essa coperti. Detto questo, stiamo indubbiamente assistendo a un cambio epocale nel modo di percepire la religione, che ci costringerà a fare delle scelte anche dolorose, ad esempio nella riorganizzazione delle parrocchie. Però questa situazione non mi preoccupa affatto, perché la Chiesa è in funzione del regno di Dio, non contano i numeri e dove ci sono delle persone che fanno del bene – e ce ne sono! – pur non proclamandosi cristiane, anche lì c’è il regno di Dio”.
Pasqua: una ripartenza
Domani i cristiani – ad eccezione delle Chiese orientali (lo faranno il 5 maggio) – festeggiano Pasqua. Inevitabile dunque concludere il nostro incontro con fra’ Mauro Jöhri con una riflessione su questa ricorrenza, soprattutto in un mondo caratterizzato da numerosi conflitti, in primis quelli in Ucraina e in Medio Oriente. “La risurrezione di Gesù è il punto decisivo per la sopravvivenza del cristianesimo. A me pare che la crisi che conosciamo attualmente sia proprio sulla risurrezione di Gesù, più che sul celibato dei preti o l’ordinazione delle donne, temi che vanno sicuramente affrontati, ma dobbiamo chiederci innanzitutto chi è Gesù, chi è il Figlio di Dio. Pasqua deve essere un momento di ripartenza, perché se non riusciamo a raccontare e a trasmettere la bellezza del Vangelo, non si va da nessuna parte. Per me Pasqua è la festa che illumina il mio cammino, che mi dice ‘vai avanti’ e mi chiedo sempre come comunicare agli altri questa gioia che dà senso alla mia vita”.
© Ti-Press / Samuel Golay
Sulla scalinata del Santuario della Madonna del Sasso di Orselina