Parola di Guccio
‘Sono protetto dal WWF come animale in via d’estinzione’. E allora facciamo una bella gabbia dorata al maestro Francesco Guccini (aperta però)
Di laRegione
Pubblichiamo un contributo apparso su Ticino7, disponibile anche nelle cassette di 20 Minuti per tutto il fine settimana.
Non ti senti mai pronta quando stai per incontrare una persona che stimi e che sai essere un’icona. Francesco Guccini mi accoglie aspettandomi su una poltrona, si scusa perché non si alza per salutarmi, dice che ci metterebbe troppo a farlo: un gentiluomo d’altri tempi che non dimentica l’ironia. Si crea istantaneamente un’atmosfera intima, tra una zanzara e l’altra. Per rompere qualsiasi formalità chiedo al ‘Maestro’ se lo disturba che gli dia del tu. «Ma che dici? Niente affatto, fai pure».
Spesso Guccini afferma di non ricordarsi i versi delle sue canzoni, ma quando gli chiedo come sta Filemazio – «protomedico, astronomo / forse saggio» protagonista di Bisanzio, suo brano del 1981 – scoppia in una fragorosa risata. «Ah, è da un pezzo che non lo vedo, non ho idea di come stia». Nonostante siano passati quasi quarant’anni, quella canzone sembra contemporanea. Antonio Morreale ha scritto che «Filemazio ama il passato, teme il futuro, è confuso tra una civiltà che sta scomparendo e una nuova che sta arrivando». Guccini chiosa: «Non so se oggi è contemporaneo, era un audace, ma i tempi sono cambiati, non so se quel giudizio di Filemazio possa essere ancora attuale».
Molto attuale è il fatto che il cantautore modenese abbia smesso di fumare – sua moglie Raffaella, che è con noi, sorride e interviene: «Lui dice che ne fumava un pacchetto ma alle volte erano pure 2 e mezzo al giorno. Sostiene di non ricordarsi, ma io me ne ricordo molto bene». Mica semplice abbandonare la nicotina. «Ogni tanto mi viene ancora voglia, soprattutto dopo un caffè. Non si smette mai di fumare, rimane sempre quel piacere di sentire il sapore del tabacco in bocca. Non ho fatto una gran fatica. Ho semplicemente deciso un giorno di punto in bianco, dicendo: questa è l’ultima. Per compensare la mancanza, ho mangiato un sacco di semi di zucca salati». Il fumo per molti artisti è sinonimo di catarsi della mente. «Fumavo sempre quando scrivevo, una tra le dita, una nel portacenere e ogni tanto ne accendevo una terza, ero totalmente preso dalla scrittura. Adesso non ci penso più di tanto».
Pinocchio mi diede il la
Guccini ha esordito nella scrittura nel 1989 pubblicando il suo primo libro Cròniche Epafàniche. Da allora di opere ce ne sono state innumerevoli. Volumi intrisi della sua bravura nell’essere un abile giocoliere con parole e storie che spesso attingevano dalla sua vita di tutti i giorni. Il suo è un amore viscerale, non solo per la scrittura, ma anche per la lettura.
Il suo ultimo libro è Canzoni edito da Bompiani. Un’antologia di 300 pagine in cui sono raccolti alcuni dei suoi testi commentati con sapienza e cuore da Gabriella Fenocchio. A proposito di libri, ci perdiamo tra i ripiani di ipotetiche librerie cercando volumi imperdibili. «Non ho un libro in particolare che mi sento di consigliare, leggi e basta! Purtroppo ho un difetto alla vista e non riesco più a leggere, qualcuno lo fa per me. Non poter leggere mi manca infinitamente, più del fumo. Invidio le persone che possono farlo e nel contempo mi fa arrabbiare chi non lo fa».
Il Guccio non ha idea di quanti libri abitino gli scaffali delle sue case tra Bologna e Pàvana. «So che Umberto Eco ne aveva molti più di me. Quando ero un ragazzo, era bello poter andare in libreria, comprare 3-4 libri e tornare a casa felice. Se non avevo qualcosa da leggere stavo male. Ho imparato tantissimo».
Il primo libro, come il primo amore, non si scorda mai. «Avevo 5 anni, con Pinocchio ho imparato a leggere, come posso dimenticarmelo? L’ho perso durante il primo trasloco della mia famiglia. È stato dolorosissimo non trovarlo più. L’ho riletto da adulto scoprendo che il burattino di Geppetto sembra un libro per ragazzi, ma non lo è. Molto complesso, situazioni strane e misteriose, può far paura ad un bambino».
Musica
Francesco Guccini è di un’umiltà infinita. Nel suo essere artista, sia imbracciando una chitarra, sia scrivendo libri, non ha mai tralasciato l’importanza di diffondere parole che potessero in qualche modo smuovere una riflessione. Non per fare i nostalgici e i pessimisti, ma se ci si guarda intorno c’è un po’ di povertà di sostanza nel panorama musicale di oggi.
«Io non ascolto più musica, non suono più la chitarra – ammesso che prima la sapessi suonare –, non so più niente, non mi interessa più. Quando ero ragazzo, uscito dall’università, andavo in libreria o in un negozio di dischi a conoscere le ultime novità. Ero felice di tornare a casa con un nuovo disco oppure un libro. Credo sia finita l’epoca di fare canzoni come le facevamo noi della vecchia guardia, ovviamente, più per una questione di anagrafe che per mancanza di volontà. Qualche cantautore nuovo sta arrivando, ma non è più il mondo di allora, tipo i primi Sessanta-Settanta». Lo guardo interrogativa. Ma, dico io, è possibile che si siano tutti ammosciati e che la rivoluzione non la voglia più fare nessuno? «Noi non pensavamo di fare la rivoluzione tutti i giorni, ma ci impegnavamo a fare canzoni con dei contenuti, canzoni che avevano da trasmettere qualcosa. Forse è questa la più grande rivoluzione che abbiamo fatto in quegli anni. Ho sempre scritto canzoni esistenziali, mai politiche. La gente non si è smidollata, il mondo è semplicemente cambiato, vuoi per i telefonini, vuoi per altri fattori. Io non ho né telefono, né patente e sono protetto dal WWF come animale in via d’estinzione».
Speranza
Non posso congedarmi da Francesco senza parlare di politica, cito solo due nomi a bruciapelo, come se prendessi la rincorsa: Matteo Salvini e Luigi Di Maio. «È irritante, lo so, ma preferisco un bel no comment. Ne avrei tante da dire, ma preferisco parlarne a quattrocchi con gli amici». Chissà se dietro l’angolo c’è un vento di speranza e soprattutto di cambiamento? «C’è un proverbio che non dico, perché è molto volgare, si spera sempre, è ovvio. Ci sono persone che raggiungono l’apice e poi improvvisamente crollano, questa è una delle speranze. Ho appena compiuto 79 anni, non avrei mai detto che ci sarei arrivato, spero di averne davanti ancora tanti, ma non saranno mai gli anni che avevo davanti a venti o trent’anni. L’unica speranza che ho è di vivere in pace e di godere delle piccole cose semplici che la vita mi dona ogni giorno».