Simona Gennari gioca all’attacco
Ha abbattuto le barriere di genere quando “certe cose” e il mondo del calcio sembravano roba per soli uomini. Ma le sue sfide non si sono esaurite, anzi…
Di Natascia Bandecchi
Pubblichiamo un contributo apparso su Ticino7, disponibile anche nelle cassette di 20 Minuti per tutto il fine settimana.
Sono passati più di cent’anni dalla prima partita di calcio femminile. Erano gli anni della Prima guerra mondiale e Le signore del Kerr – mogli inglesi dei soldati al fronte – sono state le rivoluzionarie pioniere che hanno dato il via alle future generazioni di calciatrici. Parte di questo futuro è Simona: «Da piccola seguivo mio papà che giocava a calcio e la passione si è accesa vista la sua bravura. Mi piaceva un sacco l’ambiente che c’era dentro e fuori dal campo». Entusiasmo che è stato alimentato negli anni e che ha indirizzato indissolubilmente Simona verso il pallone: «Da piccola giocavo nel Diana 82 di Ligornetto e poi nel Real Caneggio fino a quando sono stata notata dall’allora presidente Andrea Incerti del Rapid Lugano che mi ha voluta. Ho fatto la gavetta e con tanta gioia sono approdata alla Serie A,
dove ho giocato per 15 anni per poi vivere una parentesi nella Nazionale svizzera». Simona ricorda i viaggi in motorino da Morbio Inferiore a Lugano per giocare, spesso dopo una lunga giornata a scuola (mamma Ersilia, per la preoccupazione del viaggio, inforcava il Rosario e pregava). «Papà Lino faceva il doganiere e, lavorando a turni, non poteva sempre accompagnarmi ad allenamento. Non mi sono mai lamentata, erano sacrifici che sentivo mi facevano crescere e mi nutrivano».
Famiglia e ruoli
Uno degli stereotipi vuole che, insomma, una ragazza non dovrebbe praticare uno sport «da maschio», è poco elegante, chissà poi cosa penserà la gente? «I miei genitori non hanno mai storto il naso per le mie scelte, l’unica cosa di cui si raccomandavano era quella di terminare gli studi e diplomarmi. Mi hanno sempre seguita, assistevano a tutte le partite in casa e sono sempre stati i miei primi tifosi. Sono stati fondamentali nella mia carriera sportiva, e non solo. Parlando di gol, la mia migliore rete nella vita è stata la mia famiglia che mi ha sempre amata e supportata».
Simona ha gli occhi che brillano mentre parla, la guardo e provo a indovinare: sei un’attaccante, vero? «Indovinato, in campo ho sempre preferito attaccare che difendere. Nella vita però non so in che ruolo gioco; non sono impulsiva e sono molto riflessiva».
Tenacia
Simona è stata la prima allenatrice ticinese diventata membro della Federazione di calcio, e oggi ne è membro d’onore. In questi anni stiamo assistendo a una rivoluzione di genere, e la donna sta guadagnando terreno in vari ambiti, dal mondo del lavoro a quello dello sport. «La tenacia significa tutto: se desidero praticare uno sport, lo devo portare avanti senza reprimere ciò che sento, ma dimostrare soprattutto a me stessa che si può fare. Io ho iniziato così e consiglierei a tutti di crederci e andare avanti, coltivando le loro passioni senza farsi condizionare dai pregiudizi». Per molti anni Simona ha lavorato per la Fondazione Il Gabbiano, quando era una comunità di recupero di tossicodipendenti; poi ha fatto una pausa professionale, e da 7 anni fa la segretaria di direzione. Il Gabbiano ora si occupa di giovani adulti che hanno problemi di inserimento socio-professionale. «Io, sportiva d’élite, di droga non ne sapevo nulla: ho iniziato a lavorare lì e mi è cambiata totalmente la prospettiva sulla vita. Ci sono stati molti momenti difficili che mi hanno fatto crescere profondamente, sia a livello umano che professionale».
Berny School
«Una notte non riuscivo a dormire e ho pensato a tutte quelle volte in cui genitori aggrappati alle transenne durante una partita di calcio urlavano ai propri figli cosa fare mentre scappava un insulto all’avversario, reo di giocare per la squadra rivale. Mi sono detta: mancano i valori dello sport, una sana filosofia basata sul rispetto… perché quindi non creare un progetto che insegnasse i fondamenti del fair play? Nasce così la Berny School, costola del Raggruppamento San Bernardo (Origlio, Ponte Capriasca, Comano, Porza, Canobbio e Cureglia). «Il più bel premio che ho vinto in tutta la mia carriera sportiva è il premio etico che la Berny School ha ricevuto nel 2015».
Tutti in gioco è il nome della nuova squadra che prenderà forma a marzo (open day il prossimo 8 marzo). Perché questo nome? «Perché è una squadra aperta a tutti i bambini e adolescenti con disabilità tra gli 8 e i 14 anni, e con tanta voglia di scoprire il calcio». A oggi questa è l’unica squadra in Ticino che apre i battenti a bambini con disabilità: «I diritti e i doveri sono gli stessi dei ragazzi normodotati. Siamo allenatori con una specializzazione basata su Special Olympics Switzerland e non vediamo l’ora di divertirci tutti insieme nell’amore per il calcio».
IL PERSONAGGIO
Simona Gennari, 49 anni , è nata a Mendrisio e cresciuta a Morbio Inferiore. È del segno dei pesci, ama il calcio, cucinare e la gente felice. Lavora da una vita come segretaria di direzione alla Fondazione Il Gabbiano di Lugano. È direttore sportivo del Raggruppamento San Bernardo, dove passa gran parte del suo tempo seguendo più di 400 ragazzi tra un allenamento in campo, una valutazione tecnica e un incontro con gli allenatori delle varie squadre. Non ha paura di nulla, fuorché della prepotenza.