Da ‘Neuromante’ a Neuralink e ritorno

Se, fino a qualche tempo fa, solo la letteratura fantascientifica poteva immaginare un’ibridazione fra cervello e computer, oggi non è più così

Di Mariella Dal Farra

Pubblichiamo un contributo apparso su Ticino7, allegato a laRegione.

Se, fino a qualche tempo fa, solo la letteratura fantascientifica (con il corrispettivo genere cinematografico) poteva immaginare una completa ibridazione fra cervello e computer per un potenziamento dell’essere umano, oggi Neuralink – società privata statunitense di neurotecnologia – ha impiantato la sua prima interfaccia neuronale in un paziente tetraplegico volontario. Il microchip non è una novità, la ricerca scientifica in questo senso è iniziata attorno agli anni Settanta, ciò che è nuovo è l’intento dell’azienda cofondata da Elon Musk: ovvero rendere questa tecnologia di uso quotidiano, con tutte le implicazioni (anche etiche) del caso.

– Ehi, Larry.

– Molly. – Lui annuì.

– Ho del lavoro per alcuni tuoi amici, Larry.

Larry tirò fuori un piatto astuccio di plastica dalla camicia sportiva rossa e l’aprì con uno scatto, infilando il microsoft nella sua fessura, accanto a una dozzina di altri. Con la mano sospesa in aria scelse un chip nero, lucido, che era leggermente più lungo degli altri, e lo inserì con un gesto fluido nella propria testa. I suoi occhi si strinsero.

– Molly ha un passeggero – disse, – e questo a Larry non piace.

– Ehi – disse lei, – non sapevo che fossi così… sensibile. Sono impressionata. Costa molto acquistare tanta sensibilità?

– Ti conosco, signora? – L’espressione dei suoi occhi era ritornata vacua. – Vuoi comperare qualche soft?

– Sto cercando i Moderni.

– Hai un passeggero, Molly. Me lo dice questo. – Batté la mano sulla scheggia nera. – Qualcun altro sta usando i tuoi occhi.

– Il mio socio.

– Di’ al tuo socio di andarsene.

William Gibson, Neuromante, 1984

‘Premonizioni’ letterarie

Se tutto ciò che facciamo dobbiamo prima averlo immaginato, allora non è strano constatare come spesso la letteratura preceda la realtà. Ciò è particolarmente evidente nel caso della fantascienza, genere la cui cifra distintiva è proprio l’anticipare, il prevedere, l’ipotizzare scenari futuri o “alternativi”. A partire dal Nautilus di Jules Verne (1828-1905), che immagina il sottomarino prima che sia stato realizzato, passando per La guerra nell’aria di H.G. Wells, pubblicato sei anni prima dell’inizio della Prima guerra mondiale, fino al global warming del Mondo sommerso di James Ballard (The drowned world, 1962), i romanzi di fantascienza preconizzano eventi, inventano nuovi dispositivi, delineano le possibili evoluzioni ed involuzioni del genere umano.

Nella seconda metà degli anni Ottanta del secolo scorso, un sottogenere noto come cyberpunk iniziò a descrivere un futuro in cui le persone sono connesse le une alle altre tramite una rete di computer (cfr. internet), la realtà è stratificata su più livelli (cfr. realtà virtuale e aumentata), all’intelligenza umana se ne affianca una artificiale (cfr. ChatGPT; Bard) e il turismo diventa spaziale (cfr. Space X; Virgin Galactic). Rileggendo Neuromante di William Gibson (1984) a quarant’anni esatti dalla sua pubblicazione – Apple TV+ ha appena annunciato la produzione di una serie di dieci puntate in occasione dell’anniversario! -, la cosa che più sorprende non è tanto l’esattezza delle sue previsioni, ma il fatto che si sarebbero concretizzate così presto. Compresa l’inserzione di microchip nel cervello.


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La ‘forza del pensiero’

Il 29 gennaio di quest’anno, l’imprenditore Elon Musk ha comunicato su X che Neuralink, azienda attiva nell’ambito delle neurotecnologie da lui cofondata, ha installato con successo il primo dispositivo di interfaccia cervello-computer (BMI, Brain-Computer Interface) di propria produzione nella cortex di un paziente volontario. L’annuncio ha suscitato un certo scalpore, sia nel pubblico generale che in campo accademico, seppure per opposte ragioni.

La “sensazione” provocata dalla comunicazione di Musk e il dibattito che ne è seguito sono in buona misura effetti auspicati dalla strategia di marketing di Neuralink, che ha presentato il prodotto – di certo innovativo e degno di nota – descrivendone non solo le caratteristiche e le applicazioni attuali – peraltro tecnicamente ancora in fase di trial – ma anche, e forse soprattutto, le potenzialità future.


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Elon Musk, cofondatore di Neuralink

Allo stato attuale dell’arte, per quanto è dato sapere (teniamo in considerazione che Neuralink è un’azienda commerciale privata, non un’università o un istituto di ricerca che pubblica regolarmente i risultati dei propri studi), l’“Impianto N1” è un dispositivo che, analogamente ad altre interfacce cervello-computer, consente di leggere l’attività neuronale e di traslarla in impulsi elettrici atti a controllare dispositivi esterni al soggetto. In altre parole, l’impianto rende possibile lo svolgimento di alcune specifiche azioni con la sola, per così dire, “forza del pensiero”, ovvero per il tramite dell’attività elettrica prodotta dai neuroni quando pensiamo.

Esperimenti umani dagli anni 90

Gli esperimenti condotti a partire dagli anni Settanta dimostrano come, attraverso l’ausilio di questi chip, persone tetraplegiche possano imparare a muovere il cursore di un computer (Wang, W. et al. An electrocorticographic brain interface in an individual with tetraplegia. PloS One, 2013), o un arto meccanico (Collinger, J. L. et al. High-performance neuroprosthetic control by an individual with tetraplegia. The Lancet, 2013), oppure ad attivare un sintetizzatore vocale (Anumanchipalli, G. K. et al. Speech synthesis from neural decoding of spoken sentences. Nature, 2019). Questa modalità è stata definita “pensiero neurale”, ovvero un pensiero che può essere osservato dall’esterno (Fourneret, É. The hybridization of the human with brain implants: the Neuralink project. Cambridge Quarterly of Healthcare Ethics, 2020), e il suo interesse risiede nella possibilità di compensare o sostituire la capacità di interagire fisicamente con l’ambiente nei casi in cui questa sia stata compromessa.

I pazienti che potrebbero beneficiare di questa tecnologia sono dunque, per esempio, le persone para- o tetraplegiche, oppure prive di un arto, o affette dalla locked-in syndrome (una condizione neurologica complessa che preclude al soggetto la quasi totalità dei movimenti).

In questa fase, Neuralink sta reclutando persone tetraplegiche: Noland Arbaugh, il paziente a cui è stato impiantato il dispositivo “N1”, ha ventinove anni ed è paralizzato dalle spalle in giù a causa di un incidente avvenuto otto anni fa. In un video pubblicato lo scorso 20 marzo su X, Arbaugh racconta che l’intervento per posizionare l’impianto non è stato impegnativo (“Sono stato dimissionato dall’ospedale il giorno dopo”) e di non avere avuto effetti collaterali sul piano cognitivo. Il mese successivo all’operazione, ha iniziato il training che descrive così: “Cercavo di muovere, per esempio, la mia mano destra… a sinistra, a destra, avanti e indietro… e, a partire da lì, credo che sia diventato per me semplicemente intuitivo iniziare ad immaginare di muovere il cursore”. E poi aggiunge, guardando il monitor: “Lo vedi il cursore che si muove? Quello sono io… forte, no?”. Attualmente Arbaugh è in grado di giocare a scacchi con il computer e anche con il videogame Civilization.


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Noland Arbaugh

A chi non abbia mai visto all’opera un soggetto addestrato a convogliare il proprio pensiero in maniera direzionata attraverso un dispositivo BMI, guardare Arbaugh che muove i pezzi “con la mente” può facilmente apparire come il primo passo verso quell’ibridazione uomo-macchina di cui tanti scrittori, e ora sempre più imprenditori (Synchron; Neurable) ci parlano. In realtà, i primi tentativi di tradurre l’attività neuronale in comandi atti a controllare dispositivi esterni sono stati effettuati con gli scimpanzé già nel 1969 e ’70, mentre i primi esperimenti con gli esseri umani sono stati compiuti a partire dagli anni 90. Jacques Vidal, docente presso l’UCLA, pubblicò nel 1973 un articolo dal titolo Verso una comunicazione diretta uomo-computer che diede seguito a un’intensa attività di ricerca. Nei decenni successivi, questa metodologia si è sviluppata principalmente in due direzioni: dispositivi non-invasivi, dove la rilevazione degli impulsi elettrici generati dall’attività neuronale è effettuata tramite encefalogramma (tipicamente, una retina di elettrodi che viene calzata sulla testa), e invasivi, quando gli elettrodi vengono collocati direttamente sulla superficie della cortex di un cervello esposto chirurgicamente (elettrocorticografia, EcoG) oppure all’interno del tessuto corticale.

Agli occhi degli “addetti ai lavori”, l’“Impianto N1” di Neuralink, che rientra nella seconda tipologia, non è dunque niente di inedito, seppure abbia superato di misura lo standard qualitativo dei BCI realizzati finora: il dispositivo è infatti costituito da 1’024 micro-elettrodi distribuiti su 64 tracce “altamente flessibili ed ultra-sottili” che vengono inserite da un robot neurochirurgico al ritmo di sei tracce (192 elettrodi) per minuto con una precisione spaziale micrometrica (www.neuralink.com).

Un oggetto quotidiano

Tuttavia, l’aspetto autenticamente innovativo del dispositivo “N1” risiede soprattutto nell’aspirazione a divenire oggetto d’uso quotidiano, entrando nelle case, o meglio nella testa, delle persone come è stato con la TV, il PC e lo smartphone, al modico prezzo (stimato) di 40’000 dollari. E se per adesso questo tipo di tecnologia è mirato a restituire vista, movimento e parola a chi le ha perdute, l’Azienda auspica, nella descrizione della propria “mission”, di potere “in ultimo espandere il modo in cui facciamo esperienza del mondo” (www.neuralink.com/#mission). Musk si è infatti più volte espresso a favore di una progressiva integrazione fra intelligenza umana ed artificiale, evocando scenari simili a quelli delineati in film quali Strange Days (1995), Existenz (1999) e The Matrix (1999).

Il che ci riporta direttamente al cyberpunk e a Neuromante, “mondi” in cui le mega-corporation tecnologiche dominano la società e la politica, e le persone delinquono per procurarsi il denaro necessario a sottoporsi a interventi di ibridazione sempre più avanzati.

Secondo il già citato Éric Fourneret (2020), il vero problema risiede dunque nella disparità di mezzi economici di cui dispone la ricerca accademica, improntata a criteri di trasparenza ed eticità, rispetto a quelli, enormemente maggiori, di cui si avvalgono le società private, che però investono nella ricerca per fini di tipo commerciale, con tutte le implicazioni del caso…

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