Il pallone? Sembra (solo) un gioco
“Non c’è un altro posto del mondo dove l’uomo è più felice che in uno stadio di calcio”. (Albert Camus)
Di Redazione/T7
Pubblichiamo l’editoriale apparso su Ticino7, allegato settimanale de laRegione
Non serve andare molto lontano per cogliere quanto il gioco del calcio abbia rappresentato un prezioso collante sociale per chi espatriava per lavoro. Storie d’immigrazione che hanno lasciato un segno, in questo caso non (solo) economico, anche da noi. Lo ricordiamo nelle prossime pagine con un contributo di Roberto Scarcella dedicato ai club nati, un po’ ovunque nel mondo, prima negli altiforni e nelle catene di montaggio, poi negli spogliatoi e a bordo di fazzoletti di terra (spesso nemmeno troppo verdi). Operai che nel dopolavoro si ritrovavano attorno a un pallone; forse non erano i grandi campioni del “gioco più bello del mondo”, di certo lo erano di quello più genuino, fatto di piedi buoni (almeno uno) e polmoni per correre. I casi più significativi di casa nostra sono riconducibili all’epopea industriale in Leventina. Lo mostra la storia dell’FC Bodio e la sue fortunate stagioni negli anni Sessanta. O ancora la nascita di compagini volute da operai italiani impiegati alla Monteforno: come l’US Azzurri di Biasca, fondata nel 1969 e che lo scorso anno ha dovuto mollare tutto (si legge in Facebook) per “problemi di organico”. Volevamo braccia e arrivarono anche le gambe e i piedi. E alcuni pure molto buoni.