Dio salvi i punkinari! E le loro chitarre

C’è chi ha scritto che è morto nel 1977, altri pensano sia un modo di vivere e vedere il mondo che tiene ancora botta. Noi preferiamo parlare di musica

Di Sandro “Tondo” Bassanini

Pubblichiamo un contributo apparso su Ticino7, allegato del sabato a laRegione

È fermentato lentamente, uscendo pian piano dai pub e dai bar nei quali era relegato. Costola del garage rock, all’inizio il punk era soprattutto una ribellione contro quel che il rock stesso stava diventando: una cosa industrializzata, serializzata, gonfia di manager e agenti, in cui agli artisti si chiedono ogni anno un nuovo album, un live e magari pure un ‘best of’. Un affare coi produttori come alchimisti, con le loro formule magiche fatte di look ‘giusti’, vestiti ‘giusti’, permanenti ‘giuste’: tutto giusto, anche la sfumatura di colore del burrocacao. Poi arrivarono la disco, lo shock petrolifero, le proteste. E i giovani si stufarono.
All’inizio cercai di ignorare il punk, che in un novembre fatale mi sorprese sulla Slater Hill della Purdue University. C’era la ‘Battaglia delle Band’, una notte tipica da campus americano, un’occasione per tirare su una propria cover band o alla peggio millantare un po’ di intellettualismo musicale, tutto pur di andare a letto con qualcuno di figo. La serata procedeva lungo i soliti binari finché a farla deragliare non arrivarono i Dead Bambis, nome che invocava il feroce decesso del celebre cerbiattino Disney (come se non bastasse quanto capitato alla madre). Non ricordo nulla dei successivi quindici minuti di musica e violenza. Tutto quel che so è che da quel giorno – da quando i Dead Bambis bagnarono di sangue il palco di Slater Hill – i Dead Kennedys, i Bad Brains, i Black Flag e i Sex Pistols (ovvio) conquistarono il cuore della mia collezione di dischi, fino ad allora riservata al rock e al jazz.
Ma non erano cambiati solo i dischi sullo scaffale della mia stanza. Ero cambiato io. A 18 anni avevo in un certo senso perso la mia ‘purezza’, erano affiorate tutte le esperienze che avevo vissuto nell’Italia degli anni di piombo, come se finalmente riuscissi a liberare una rabbia che si era accumulata in me e che fino ad allora i Baglioni, i Battiato, i Battisti erano riusciti a tenere buona. Appena una settimana dopo, reagendo a un mio intervento piuttosto brusco durante la sua lezione di Microeconomia, il professor Bowl mi disse “Mister Bassanini, non faccia il punk”. Sì, ero cambiato.


Il disco: l’inizio e la fine di tutto, ma il punk è stato anche molto altro…

LA CLASSIFICA
Ancora una volta, lo scopo di questa rubrica non è quello di consigliare i dieci album più noti e celebrati del genere, ma quelli che li seguono a ruota: sicché me ne starò lontano dai Ramones, dai Clash e da tutte le band che hanno fatto del punk un genere musicale compiuto e a sé stante. Ecco insomma i dieci panchinari del punk. Se non vi piacciono, girate pagina e levatevi dalle scatole.

10. The Ruts – ‘The Crack’ (1979)
Ogni volta che lo metto su in negozio, lo vendo. Non c’è rabbia, ma il punk non era solo rabbia: era anche riff di chitarra, batteria spedita, voci e parole sparate in faccia. Volete provare? Abbassate la puntina su ‘Criminal Mind’, un minuto e 34 secondi che vi faranno capire cosa significa punk. Amaro.

9. Fugazi – ‘Fugazi’ (1988)
La prossima volta che vi troverete in una qualsiasi sala d’attesa – dal dentista, dal dottore, al Pronto soccorso, prima di un interrogatorio di polizia o di un colloquio col vostro avvocato per il divorzio – tirate fuori il Walkman, metteteci dentro la cassetta dei Fugazi e premete ‘play’ sulla prima traccia, ‘Waiting Room’. Le vostre preoccupazioni si dissolveranno. Indignato.

8. The Undertones ‘The Undertones’ (1979)
Punkinari di Belfast, si guadagnarono un po’ di celebrità aprendo i concerti dei Clash durante il loro tour americano. Se c’è un batterista più ‘serrato’ di Billy Doherty, beh, io non lo conosco. A differenza dei loro concittadini Stiff Little Fingers, gli Undertones ignoravano i temi politici e si concentravano su cose più importanti per un adolescente, come avere il coraggio per farsi avanti con qualcuno e andarci a letto. Attaccano ‘Teenage Kicks’ chiedendosi se “i sogni da adolescenti son così difficili da sconfiggere” e sì, quello è Feargal Sharkey con la sua voce a tremolo che vi sta arrivando addosso, da bravo punk. Perfido.

7. Crass – ‘Penis Envy’ (1981)
Punk inglesi e anarchici veri, i Crass sono nati in seno alla comunità anarchica dell’Essex. Non so se posso discutere apertamente Penis Envy, vista la lunga storia di censure che colpirono l’album, incluso il bando da parte delle grandi catene commerciali inglesi e un sequestro effettuato dalla polizia di Manchester, con tanto di negoziante accusato di “esibire articoli volgari a scopo commerciale”. Ciò detto, ‘Invidia del pene’ resta un classico del genere. Scurrile.

6. Circle Jerks – ‘Group Sex’ (1980)
Fondati a Los Angeles dall’ex cantante e leader dei Black Flag Keith Morris, i Circle Jerks hanno spianato col loro schiacciasassi la religione, la politica, la società. E ovviamente il sesso. Nulla per loro era sacro o tabù. Quando vi trovate in ufficio e siete lì lì per rispondere a quell’e-mail – sì, proprio quella, sapete quale intendo –, fermatevi un attimo e ascoltate la traccia 6, ‘Wasted’. 39 secondi dopo sarete in grado di riscrivere più serenamente la vostra risposta. Infuriato.

5. Minor Threat – ‘Minor Threat EP’ (1983)
Punk di Washington D.C., tra i fondatori del movimento ‘straight edge’ votato a una vita senza alcol, droghe e sesso occasionale. Se volete sapere come ci si sente a vivere così mettete su la terza traccia, ‘Seeing Red’. Cinque minuti dopo sarete di fronte all’Irish Pub di Sorengo, tequila in una mano e canna nell’altra, a correr dietro al meglio che la Franklin ha da offrire. Peccaminoso.

4. Discharge – ‘Hear Nothing See Nothing’ (1982)
Mentre il punk cominciava a declinare e a lasciar spazio a quarant’anni di monnezza elettropop synth reggaeton trash boy band pseudo hip hop, ecco arrivare i Discharge con questa lattina di punk al gusto calcio-nei-coglioni. Volete assaggiarla? Cominciate con la traccia numero 3, ‘The Final Blood Bath’. Ma prima magari avvertite i vicini. Primitivo.

3. Siouxsie & The Banshees – ‘The Scream’ (1978)
Questo entra in lista per tutta una serie di ragioni, ma soprattutto perché sono stati i primi a spaventarmi davvero. Prendete per esempio ‘Helter Skelter’, un pezzo inquietante in cui ci vogliono quaranta secondi prima che la chitarra entri a gelarvi il sangue, e altri undici per Susan Ballion – aka Siouxsie Sioux – per mandarvi in testacoda. Punk secondo me, dark wave secondo altri, lo metto qui perché l’età del punk non ci sarebbe stata senza il suo contrappeso di riff lenti e cupi. Apocalittico.

2. Wire – ‘Pink Flag’ (1977)
La mia scelta per il numero 1 è un’altra, ma questa rimane di fatto a pari merito. Oltre a essere uno degli album più emblematici di sempre, contiene la migliore accoppiata di canzoni mai concepita. Sul lato 1, traccia 2 troverete ‘Field Day For The Sundays’: 29 secondi di punk seguiti da ‘Three Girl Rumba’. Suonatele una dopo l’altra ed ecco l’estasi punk. Immaginifico.

1. X – ‘Los Angeles’ (1980)
In questa lista ho messo il ‘best of the rest’, ma questo album andrebbe bene anche per un ‘best of the best’, e in ogni caso si tratta di un album imprescindibile in qualsiasi collezione di dischi. Mi ci sono voluti trent’anni per trovarne una copia originale americana ‘near mint’, ovvero come nuova: di solito chi ce l’ha l’ascolta fino a scartavetrarla. Gli X trascinano alla sbarra la società californiana e soprattutto Los Angeles, la scuoiano con le loro liriche. E mentre i dischi successivi non sono altrettanto intensi, questo è imperdibile. Punk Nirvana (nel senso di “beatitudine finale”, nulla a che fare con Kurt Cobain, eh).

Post scriptum: chi come me è cresciuto nell’età del punk, sa che prima o poi doveva succedere, che la rabbia e la frustrazione degli anni Settanta stavano esondando e la musica doveva per forza avere un ruolo nel farle venir fuori. Quel che mi chiedo è perché sotto quell’acquazzone d’escrementi che è oggi la vita – tra Covid-19, Isis, guerre, una crisi economica eterna e così via – non germogli una nuova incarnazione del punk o del grunge a riprendersi la scena. Dov’è la rabbia? Dov’è l’indignazione? Dov’è il punk?

Nota della Redazione: ‘Ticino7’ declina qualsivoglia responsabilità in caso di danni all’udito, collari borchiati, creste colorate, lanci di molotov e sedizioni violente cagionati dall’ascolto dei brani consigliati. La colpa, come sempre, è tutta dell’autore, che casomai vi aspetta a Maroggia. Però fate attenzione.

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