Svastiche al sole (ma forse è solo noia)

Ogni tanto compaiono, poi qualcuno le cancella e tutto passa. Altre volte restano lì, a futura memoria, chissà…

Di Giancarlo Fornasier

Al campo sportivo di un comune della Riviera ce n’è una nera. È lì da tempo immemore, proprio all’imbocco del Percorso Vita e con vista sul campo da calcio. Il masso che la ospita serve a tenere le auto ordinate e contenute nel posteggio sterrato. Ogni volta che la vedo cerco d’immaginarmi chi potrebbe averla lasciata: forse un dodicenne armato di bomboletta rubata nell’autorimessa del nonno. Oppure qualche tifoso o giocatore di lega minore, di quelli che ogni tanto si menano, coi genitori in piedi a bordo campo a chiedere la testa dell’arbitro. Le svastiche fanno parte della storia (passata), si dirà, e chi oggi le disegna è spinto più da una puerile provocazione che da un credo politico. Sarà, ma vederle abbozzate, così, a mo’ di simpatiche faccine non è proprio una bellezza. “Papà, che cosa significa quel segno…?”. Eh, che cosa significa… “Sai, a volte la gente ‘fa cose’, ma in verità vorrebbe dirne altre”. O almeno questo uno si augura.

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