Di arte e di educazione. Per una scuola a colori
Secondo alcuni l’arte avrebbe oggi un ruolo troppo marginale e il suo potenziale nelle istituzioni scolastiche rimarrebbe in gran parte inesplorato. Parliamone…
Di Palma Grano
Pubblichiamo un contributo apparso su Ticino7, allegato del sabato a laRegione.
Impara l’arte e mettila da parte, un detto popolare che sottolinea come le capacità del saper fare e di creare vadano apprese. E soprattutto che qualsiasi cosa impariamo (prima o poi) ci tornerà utile, magari quando meno ce l’aspettiamo. Ma quanto sono utili disegnare e dipingere nella nostra quotidianità? E quel ‘mettila da parte’ non sarà troppo spesso preso alla lettera, lasciando le nostre capacità creative nei cassetti perduti della nostra esistenza? E l’arte ha oggi un ruolo troppo marginale nelle istituzioni scolastiche? Se fosse così, a pagarne il prezzo maggiore sarebbero i nostri giovani e le loro possibilità di diventare adulti migliori e più consapevoli, di loro stessi e in particolare delle loro potenzialità.
Scriveva l’artista concettuale sudamericano Luis Camnitzer (2017): “L’importante è la forma di pensare artisticamente (…), come si ottiene la conoscenza, la libertà di immaginazione e di immaginare senza limiti”. È possibile utilizzare queste affermazioni applicandole all’apprendimento? L’educatore e autore britannico Ken Robinson (morto lo scorso anno) sosteneva che “le scuole assassinano la creatività”; una dichiarazione che può sembrare molto forte, anche se è indubbio che gli spazi a scuola dedicati all’espressione artistica siano sempre più limitati man mano che si salgono i gradini dell’obbligo scolastico. Robinson insisteva anche sull’importanza delle pratiche artistiche per scoprirsi come individui e capire i propri talenti. L’educatore britannico era un forte sostenitore dell’importanza delle discipline legate alle arti, le quali dovevano essere considerate alla pari delle altre materie, per permettere uno sviluppo organico e completo dei giovani.
Artisti in culla
Ma cosa intendiamo per arte? Tanto l’arte quanto l’educazione sono due concetti polisemici e tra i più complessi del nostro vocabolario. Acquisiscono significati diversi dipendendo dall’epoca e dal luogo in cui ci troviamo, e si modificano secondo il momento storico. Per questo definire cos’è l’arte appare una missione quasi impossibile. Tra le possibili definizioni potremmo affermare che è un’attività estetica e comunicativa attraverso la quale si esprimono idee, emozioni; o ancora una visione del mondo tratteggiata attraverso il linguaggio, la musica, la danza, la pittura (e molte altre attività creative). Di certo è un processo in grado di trasformare l’intangibile in tangibile.
Durante i primi anni di vita, in modo naturale, i bambini giocano, cantano, ballano e disegnano. Attività che sono fondamentali per sviluppare il sistema sensoriale, cognitivo, emozionale, motorio e, in definitiva, cerebrale; ma che soprattutto permettono ai bimbi di fare quello che di più prezioso la scuola dovrebbe insegnare: l’imparare a imparare. Già nel 2004 l’UNESCO condusse uno studio intitolato Il fattore WUAU. Come si spiegava nelle conclusioni, un’educazione con l’arte consente agli studenti di migliorare le loro attitudini verso la scuola e l’apprendimento, promuove la conoscenza di elementi culturali e genera una sensazione di soddisfazione e di benessere personale. Già dieci anni fa, la professoressa e ricercatrice Anne Bamford constatava che l’arte contribuisce a migliorare i risultati scolastici, a prevenire la disaffezione alla scuola e sostiene il trasferimento positivo della conoscenza. Ora, l’arte non sarà la panacea per risolvere le difficoltà di apprendimento che si sono accentuate in alcune/i allieve/i in seguito alla pandemia e l’insegnamento a distanza, ma rivalutarne il possibile potenziale merita una riflessione, soprattutto con chi è sul campo, come i docenti delle scuole medie ticinesi. In un articolo di Generoso Chiaradonna apparso su laRegione il 15 giugno scorso Fabio Camponovo, riflettendo sulla scuola condivisa, afferma: “Gli allievi più fragili pagano un prezzo di apprendimento e di difficoltà scolastiche”. Nell’articolo Camponovo evidenzia anche il ruolo dell’educazione come “risorsa per affrontare consapevolmente le incognite che ci aspettano nel futuro”. Quel che abbiamo osservato dall’inizio della pandemia è che proprio lo spirito creativo delle persone ha permesso un po’ ovunque di adattarsi a situazioni nuove e insolite prima della pandemia. Se la vita e la scuola sono un continuum, forse ricalibrare il peso delle discipline artistiche potrebbe essere una pista da seguire. La già citata Bamford insisteva sulla bidimensionalità dell’educazione artistica (“l’educazione nelle arti” e “l’educazione per mezzo delle arti”), evidenziando che l’educazione artistica può garantire una crescita di tutte le discipline scolastiche.
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Menti da coltivare
Una conferma la troviamo nelle parole di Giacomo, docente di arti plastiche alle scuole medie, che rispetto alla sua materia afferma: “Il potenziale è enorme, ma è poco valorizzato. Questo avviene per parecchi motivi. Il principale è il tempo per rapporto al numero di allievi. Potendo mettere a confronto l’esperienza in aula di educazione visiva e di arti plastiche – in quest’ultima si lavora a gruppi ridotti –, non posso non escludere che l’elemento temporale sia fondamentale per rendere efficaci entrambe le discipline”. E continua: “Sicuramente allo stato attuale l’aspetto il cui potenziale è espresso al meglio è quello delle competenze sociali e relazionali. Non essendo materie che ‘fanno selezione’ e offrendo la possibilità di osservare gli allievi in diverse situazioni, credo che la mia materia offra la possibilità di conoscere l’allieva/o in modo più complessivo. Questo fattore potrebbe essere utile per le/i ragazze/i e per le loro famiglie rispetto all’orientamento post scuola dell’obbligo”.
Riprendendo l’argomento della diversità degli ambienti, Barbara, docente di educazione visiva nel Mendrisiotto, afferma: “Per me è fondamentale aprire gli spazi. Non siamo chiusi in un’aula e non insegniamo soltanto lì. Cerco di amplificare le conoscenze dei ragazzi toccando situazioni anche a livello globale. L’anno scorso abbiamo fatto un lavoro sulla plastica, collaborando con l’azienda responsabile ‘4Ocean’ con la quale ci siamo scambiati il nostro apprendimento. Siamo usciti dall’aula, abbiamo raccolto la plastica, l’abbiamo lavorata trasformandola in oggetti riciclati come astucci e borse (vedi sotto, ndr). Le arti plastiche mi e ci hanno permesso di andare oltre la sensibilizzazione su temi come il riciclaggio e l’inquinamento. Come docente ho potuto accompagnare i ragazzi in un lavoro esperienziale volto anche a cercare soluzioni ai problemi che affliggono il nostro pianeta”.
Astucci confezionati con della plastica riciclata.
Poter lavorare in sintonia
Barbara evidenzia l’importanza di ‘mettere le mani in pasta’: “Il mondo digitale ci proietta in una società che pare voler dimenticare l’uso delle mani. Quando lavoro a scuola è importante invece poter percepire la materia, quasi come fossimo un’estensione di essa. Che poi è fondamentale non solo a scuola, ma nella vita di tutti i giorni”. Secondo Barbara l’arte mantiene attivo il cervello nella sua parte razionale come in quella creativa, e le arti visive sono importanti perché consentono alle/agli allieve/i di canalizzare la loro energia creativa. Secondo la docente le materie artistiche, come le arti plastiche, possono essere utili come mezzo espressivo anche nelle altre discipline per arricchirle ed evidenziarne i loro lati più relativi. Barbara spesso si trova a collaborare con docenti di scienze o italiano, per esempio ‘trasformando’ una poesia in scultura. A questo proposito Giacomo evidenzia però alcuni elementi che rendono complesse queste collaborazioni: “Purtroppo sono molto limitate, perché spesso i ritmi delle discipline non sono coordinati. Questo implica che già di per sé organizzare dei momenti multidisciplinari è difficile se la priorità è data alla singola materia”. E aggiunge: “Organizzare momenti interdisciplinari è generalmente più complesso per vari fattori. Per citarne due assai comuni, penso alla scarsa disponibilità di tempo per affrontare la progettazione, oppure la difficoltà nel riuscire a calendarizzare le attività senza che vengano relegate a quei momenti dell’anno in cui nessun collega di discipline ritenute ‘importanti’ possa temere di perdere ore preziose”. Mi permetto di mettere l’“importanti” tra virgolette, poiché, come ci confida Giacomo – un’opinione condivisa praticamente da molti esperti di educazione artistica – “l’avvicinarsi alle arti o alle arti applicate significa sviluppare una forma mentis che tende a considerare rilevanti tutti gli stimoli di riflessione (tecnici, sociali, ecologici, culturali ecc). Non sono forse anche le arti plastiche meritevoli, dunque, dell’aggettivo “importanti”?
Ciotola costruita con una rivista.
Vantaggi da evidenziare
Alessandra Bergamaschi, storica dell’arte, educatrice presso l’Università di São Paulo e creatrice di workshop artistici rivolti a ragazze/i che vivono in condizioni educative e abitative precarie, ci spiega: “Acquisire dimestichezza con ‘le cose dell’arte’ può essere utile per le/i ragazzine/i di qualsiasi estrazione sociale, ampliando non solo la loro ricettività nei confronti dell’offerta culturale, ma stimolando anche l’interesse e la propensione a recuperare il rapporto diretto con una realtà sempre più mediata dagli schermi dei cellulari”. Per Bergamaschi la sperimentazione artistica è fondamentale nei programmi della scuola dell’obbligo, per sensibilizzare i ragazzi a essere presenti davanti agli enigmi della vita, per aiutarli a dare forma all’invisibile e a “perdere tempo” con logiche astratte e senza senso, che apparentemente non portano da nessuna parte ma che nella pratica possono aiutare ad affrontare situazioni nuove e le incognite della vita.
Lo scrittore spagnolo David Rollano, autore di alcuni saggi sull’educazione artistica e l’importanza dei valori, ne evidenzia i molti importanti benefici, quali: rinforzare la qualità nell’apprendimento, aumentare l’entusiasmo e l’interesse delle/degli alunne/i, le attività artistiche aumentano la percezione dell’ambiente circostante e creano una flessibilità nel pensiero, generano nell’alunno sicurezza e autonomia, stimolano le abilità cognitive, promuovono il lavoro in gruppo… e la lista potrebbe continuare.
Per concludere con il pensiero della docente Barbara, è assolutamente necessario evidenziare il potere trasformativo dell’arte, che non è solo relativo alla produzione artistica ma è anche una parte profonda e fondamentale in ognuno di noi. Il pittore e performer Joseph Beuys (1921-1986) creatore della Free International University, affermava come “everybody is an artist”, sottolineando proprio il potenziale democratico dell’arte anche come strumento pedagogico. Insomma, che sappiamo disegnare oppure no, siamo tutti artisti e coltivare questa parte di noi non ci può che rendere delle persone migliori… Non è, in fondo, proprio questo che dovrebbe fare la scuola?
Buon inizio a tutte e tutti, grandi e piccini.
Dedicato a Filippo Falbo (18.6.1946-21.8.2021), docente, scrittore, poeta, pittore e critico letterario.
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