Nino Buonocore. ʻAll That Jazzʼ

È quello di “Scrivimi”, che a risentirla oggi ti chiedi che cosa sia successo alla musica italiana negli ultimi 30 anni. Ma questa è un’altra storia (o forse no)

Di Beppe Donadio

Pubblichiamo un articolo apparso sabato su Ticino7, allegato a laRegione.

Se vuoi cantare e hai la R moscia è possibile che quando farai sentire le tue canzoni ti diranno: “Sai chi mi ricordi? Nino Buonocore”. Che spesso è un’alternativa a “Le faremo sapere”. “Mi ricordi Nino Buonocore” è come “il nuoto è uno sport completo” o “i napoletani hanno la musica nel sangue”, luogo comune, il secondo, che non è proprio buttato lì visto che di napoletano parliamo. Capace di essere amato dai tromboni del jazz (intesi come fighetti, non come fiati), sufficientemente rimpianto dal grande pubblico per apprezzarne ogni volta i ritorni, Nino Buonocore ha spiegato di recente la piccola privazione: “Non sono mai stato un presenzialista. Fosse per me, inviterei il pubblico a casa”. E noi dobbiamo farcene una santa ragione, che rende ancor più esclusivo ed elitario il suo ascolto (alla faccia del bicarbonato di sodio e di Sanremo che ci propina ‘Non ho l’età’).

In Jazz (Live) uscito per Egea Music è disco registrato dal vivo, giusto in tempo, il 27 febbraio 2020 all’Auditorium Parco della Musica di Roma. Col camaleonte in copertina che partendo da altra bestia (“Amico coccodrillo”, singolo del 1979) diventa grafica sintesi dell’evoluzione jazz del musicista, qui con Antonio Fresa al pianoforte, Antonio De Luise al contrabbasso, Amedeo Ariano alla batteria, Flavio Boltro alla tromba, Max Ionata al sax, punto d’arrivo di una svolta maturata nel tempo. “Ci sono stati momenti in cui ho sentito l’obiettivo più vicino, posso citarti l’incontro con Chet Baker e altri musicisti d’estrazione jazzistica, ma non avevo mai pensato di realizzare qualcosa che avesse un’etichetta precisa”, ci racconta Buonocore. “Credo che un artista non debba rimanere ancorato alle proprie origini anche se lì stanno dei grandi successi, ma proseguire il suo cammino senza voltarsi nemmeno troppo indietro”. Che è un po’ come essere un pezzo della storia musicale di Napoli senza mai esserne completamente identificato: “Sì, anche perché il concetto di napoletanità è stato frainteso con la pizza, il putipù, il pomodoro. Io nasco in un ambiente che non è il vicolo di Napoli, sono cresciuto con l’idea di una grossa commistione di culture che riguarda ogni città portuale”.

C’entra Elvis

A Chet Baker si arriva ascoltanto la tromba di Flavio Boltro, che in In Jazz (Live) provoca un flashback di 33 anni. “Conobbi Chet Baker in un bar di Roma, mentre stavo realizzando ‘Una città tra le mani’. Lo avevo ascoltato in ‘Shipbuilding’ di Elvis Costello su Punch The Clock (1983) e venne fuori l’idea di contattarlo. Fu una cosa molto semplice: lui arrivò da Parigi, gli feci ascoltare le cose che stavo realizzando, gli piacquero e dopo due giorni era con noi in studio, con una leggerezza di spirito davvero inconsueta e prodigo di tanti consigli. In quel momento è chiaramente scattato qualcosa in me, perché tutto quel che ho fatto in seguito è andato lentamente avvicinandosi al jazz”. Guardando ai musicisti con cui si è accompagnato, Nino non si è fatto mai mancare niente e continua a non farselo mancare: “Rivendico solo la presunzione di essere stato bravo a lasciarli lavorare secondo la loro emotività. Bisogna avere sempre un certo equilibrio quando si chiamano personaggi di questa levatura, bisogna stare attenti a non frustrarli, ma nello stesso tempo non devi fare in modo che la loro grossa personalità possa sviarti da quelli che sono i tuoi principi musicali”. Rischiando di snaturare la canzone. 


© Marco Medaglia

La rivincita degli arrotati

Ognuno di noi nella vita vorrebbe scrivere una cosa come ‘Scrivimi’, che non è esattamente il frutto di giorni di struggimento da cantautore: “Avevamo già chiuso il disco (Sabato, domenica e lunedì, 1990) e ‘Abitudini’ sarebbe stato il singolo. Ero convinto di avere fatto un buon lavoro e forse arrivò un momento di creatività assoluta. Fu come se la musa avesse poggiato la mano sul mio capo. ‘Scrivimi’ è nata nel tempo che dura la canzone, di getto, musica e testo”. Copia e incolla: ognuno nella vita, se fa questo mestiere, avrebbe voluto scrivere una cosa come ‘Rosanna’: “Sono possibilista: io credo che tanti scrivano belle canzoni. E penso che se avessi scritto ‘Scrivimi’ oggi non avrebbe avuto lo stesso effetto, perché la canzone è legata al tempo, al tuo momento di crescita, alle condizioni di ascolto del pubblico. Sono tante le componenti che ne determinano poi il successo. Direi che sono casuali, ma bisogna saperle prendere al volo, saper incontrare l’estro
in quel preciso istante”.
‘Scrivimi’ e ‘Rosanna’ sono anche la rivincita di tutti gli affetti da rotacismo, testimonianza che si può cantare anche con la R moscia. A questo proposito: Nino, ti hanno mai detto in gioventù “Lei è bravo, ma con quella cosa lì non andrà mai da nessuna parte”?: “Beh, faccio l’esempio di Lucio Battisti, boicottato per anni in Rai perché dicevano che non sapesse cantare. Il modo di cantare nel tempo è cambiato tanto. Prima c’era una vocalità molto tecnica, oggi cantano un po’ tutti e secondo me è un bene. Dico spesso che chi canta ha l’esigenza di cantare; non canta solo per mestiere, ma perché gli riesce più facile utilizzare un linguaggio alternativo alla parola. C’è chi si confessa attraverso le canzoni, e il canto diventa una parte di noi, così come la voce”.

‘Forse ci vorrebbe una rivoluzione’

Con Michele De Vitis a mettere in ordine le parole da 34 anni – “Con lui è una seduta psicanalitica: io parlo, scrivo, propongo, e lui sintetizza le cose migliori” – Nino Buonocore esiste senza effetti speciali, coerente, attuale, cambiando poco e niente: “Una cosa che uno scrittore di canzoni non deve mai fare è quella di andare incontro al pubblico, perché prima o poi il pubblico verrà da te”. Concetto rivoluzionario. “Forse ci vorrebbe una rivoluzione”, cantava il Nostro ne ‘Il lessico del cuore’: quanto manca alla rivoluzione, Nino? “Credo che questo Covid abbia fermato la nostra smania di volere andare avanti incerottati, mettendo sempre delle pezze. Si dice sia l’uomo, che è da rimettere al centro, a fare la storia, e oggi invece pare sia la massa a farla. L’uomo s’è assoggettato all’omologazione generale e probabilmente non partorisce nemmeno più idee, perché non ha la possibilità di rappresentarle. Spero ne usciremo presto, con la forza di un rinascimento culturale”.

SETTE (E OLTRE) CAPISALDI DA ASCOLTARE

1. ‘Libero passeggero’ (2001)
Prendere il proprio repertorio e dargli una forma definitiva, quella acustica. È Nino Buonocore per sottrazione, con batteria, fiati, piano e Rhodes, contrabbasso e violoncello. Superato il rischio di Sindrome di Stendhal da traccia 1 (‘Sera di settembre’, col violoncello bello da fare male), passati per la contiana ‘Colpa della pressione fisica’, si arriva a ‘Quando piove così’ prendendo ‘I treni di agosto’ dal sottovalutato LP La naturale incertezza del vivere (vedi al punto 7).

2. ‘Scrivimi’ (1990)
Fabio Concato ci chiude ‘Non smetto di ascoltarti’ , le cover della sua vita, Laura Pausini la mette in un album da Grammy (Io canto); Mango la fece country, Anna Oxa la fece latin. Tre milioni di copie vendute, è la canzone preferita di Romina Power, ma è più importante il fatto che per questo motivo Nino sia tornato a suonarla alla tv italiana in un programma condotto dalla brava Serena Rossi, per la quale, nel 2013, aveva scritto ‘Nessuno’ , brano dal Buonocore sound col bel video rispettoso di ogni combinazione amorosa.

3. ‘Segnali di umana presenza’ (2013)
Il primo disco d’inediti in nove anni e forse il migliore di sempre, dove la ‘Scrivimi’ di turno è ‘Il lessico del cuore’ , dal respiro highway che potrebbe essere Napoli o Los Angeles. Echi di Steely Dan in ‘Serena’, che serve ai tavoli di un locale che potrebbe essere Napoli o NY. Echi d’infanzia in ‘Millenovecento73’, che (“Con gli occhi puntati lì sul suo balcone, lei per me si affaccerà, si affaccerà, solo per me si affaccerà”) potrebbe essere la storia di tutti.

4. ‘Sabato, domenica e lunedì’ (1990)
È l’album di Scrivimi (vedi al punto 2) e dei punti fermi live ‘Abitudini’ e ‘Così distratti’. Echi di New York (in quanto registrato a NY), alla batteria c’è anche Bernard Purdie, inventore dell’omonimo shuffle dal quale Jeff Porcaro attingerà per produrre il suo, di shuffle, nella ‘Rosanna’ non di Nino (vedi sotto) ma dei Toto. Insomma: tutto torna.

5. ‘Se’ (1981) / ‘Nino Buonocore’ (1984) / ‘Una canzone d’amore’ (1993)
È Nino Buonocore che canta ‘Se’ , la sigla de ‘L’uomo da sei milioni di dollari’ ,
storia dell’astronauta Steve Austin, bionico per metà. Malgrado sembri Paul Weller, è Buonocore anche quello sulla copertina dell’eponimo dell’84 (session men: Chris Whitten, Jerry Marotta e Pino Palladino). Infine, ultima a Sanremo
e quindi bellissima: “Di Buonocore-De Vitis, ‘Una canzone d’amore’ , dirige il maestro Vince Tempera, canta Nino Buonocore”.

6. ‘Una città tra le mani’ (1988)
Che a fine anni Ottanta Nino Buonocore stia andando verso il jazz lo dice quasi subito (traccia 2) ‘Anche questo è amore’. Che l’album sia di culto lo dicono ‘Rosanna’ e Chet Baker, qua e là tra le dieci tracce non tutte jazz e che morirà poco dopo l’apparizione con Nino nel televisivo D.O.C. di Arbore. In mezzo alla Napoli virtuosa – Vitolo, Jermano, Zurzolo, Senese – il bresciano Mauro Pagani all’armonica e i ‘Peppi’ Servillo e Vessicchio (sic) ai cori.

7. ‘La naturale incertezza del vivere’ (1992)
“E sono tanti quelli come noi, che il tempo non li cambia”. Il bambino che è in noi e che è anche in Buonocore frequenta ‘Il mandorlo’, troppo bella per diventare evergreen, abbastanza per essere riascoltata senza l’usura degli evergreen. Con, tra gli altri, Greg Bissonette alla batteria, Tony Levin al basso e Jay Winding al piano, brilla per rilassatezza ‘A chi tutto e a chi niente’, swingata constatazione su chi “ogni fine settimana mette la barca al mare” e chi “non ha nemmeno il salvagente”.

Articoli simili