David Induni e altre persone molto speciali
Non può stare fermo troppo tempo: è un viaggiatore seriale. Appassionato di cinema, è cofondatore di un’associazione che sostiene lo sviluppo e l’inclusione delle persone con la Sindrome di Down.
Di Natascia Bandecchi
Pubblichiamo un contributo apparso su Ticino7, allegato del sabato a laRegione.
Grandi spazi e cieli infiniti, questa è la Patagonia. David Induni della sua terra ha lo stesso colore negli occhi: un azzurro cangiante. Ti conquista con il suo inconfondibile accento argentino (quello un po’ strascicato, ma troppo simpatico). Capelli lunghi sciolti, infradito, pantaloncini corti e quell’aria da surfer appena sceso dalla tavola. “Adoro l’oceano Pacifico, mi muove dentro. Quando sono in acqua mi sento semplicemente felice. Il movimento delle onde mi fa sentire a casa”. A proposito di movimento, David sin da piccolo è sempre stato un fiume in piena: ha giocato a calcio da professionista, ha fatto il modello, ma poi la scintilla è scoccata per l’arte. “Quando sono entrato all’Accademia di Belle Arti di Cordoba ho iniziato a vedere le cose da un’altra prospettiva. Sono cresciuto in una famiglia svizzera, sia per origini sia per educazione un po’ severa”. David è sempre stato controcorrente: a 16 anni, nonostante il dissenso dei suoi genitori, va via di casa cercando una vita un po’ freak… “È durata poco la mia avventura in solitaria; i miei mi hanno riportato a casa dopo una manciata di mesi”.
Quella prima esperienza fuori casa permette a David di fargli comprendere quanto sia fondamentale per lui scoprire il mondo là fuori, regalandogli negli anni esperienze di viaggio in molti angoli di mondo: Bolivia, Perù (“ho vissuto quasi un anno fra Cuzco e Lima, dove mi sono sposato per la prima volta con una ragazza inca e greca”), Ecuador, Costa Rica, Stati Uniti, fino a farlo approdare, e fermare, per quasi 6 anni alle Hawaii. “Essere a contatto con la natura più selvaggia mi ha nutrito profondamente: la potenza dell’oceano, i vulcani e la ferocia della loro lava mi hanno forgiato”.
Dall’Argentina a Montagnola
Le sue radici affondano nel Mendrisiotto, terra d’origine del suo bisnonno: “Noi Induni siamo patrizi di Stabio. Sin da piccolo dicevo che prima o poi sarei tornato in Svizzera a vivere… ed eccomi qui”. David ha vissuto qualche tempo a Ginevra, ma per lui, abituato a vivere a piedi nudi sulla spiaggia con un clima quasi tropicale, il freddo era davvero troppo. Nonostante i geloni, il cuore glielo scalda Monica – oggi sua moglie – e la casa in Ticino. “La vita mi ha fatto un regalo enorme, oltre ad aver trovato l’amore, ho riabbracciato le origini scegliendo di vivere, per il momento, a Montagnola”.
David e Monica hanno due figli: Lea, 4 anni e Xavier, 6, nato con la Sindrome di Down: “Non eravamo preparati, ma ci siamo subito attivati per informarci sui servizi attivi in Ticino correlati a questa condizione genetica”. Sul territorio c’erano già proposte per la disabilità su cui la famiglia ha fatto e fa tutt’ora affidamento, ma sentiva che mancava un centro dedicato unicamente alla Trisomia 21. “Non ci siamo demoralizzati di fronte alla diagnosi. Ci siamo documentati, abbiamo viaggiato, parlato con molti ricercatori ed esperti scoprendo che nel mondo sono tanti i centri che si dedicano a questa condizione. Così abbiamo deciso di canalizzare le informazioni trovate in un’associazione che potesse aiutare altre famiglie del territorio”. Nel 2015 è nata l’Associazione Progetto Avventuno (avventuno.org), che oltre a voler dare sostegno diretto alle famiglie si impegna a raccogliere e diffondere localmente l’evidenza scientifica ed educativa più attuale.
Scuola e inclusione
Il Ticino oggi è pronto ad accogliere allievi con Sindrome di Down nelle scuole? “Siamo all’inizio di un processo che non è solo un cambiamento educativo, ma sociale e culturale. Ci vorrà tempo, al momento i processi di inclusione possono essere difficili. Ogni caso è a sé, e va curato e seguito nel dettaglio. Questo può essere faticoso, ma sentiamo una crescente predisposizione verso l’inclusione”. David è convinto che uno degli ingredienti fondamentali per creare i presupposti per una scuola inclusiva sia quello di sostenere tutti gli attori del processo educativo, evitando che il successo o il fallimento di un progetto dipendano da un’unica persona. “Quando si creano reti affiatate e solide basi di dialogo tra scuola, terapisti e famiglia, tutto funziona meglio. La nostra associazione si propone di aiutare in questo dialogo ascoltando i bisogni di tutte le parti”.
Durante uno dei miei viaggi in India rimasi colpita da un incontro: un’educatrice che lavorava con bambini con bisogni speciali mi raccontò che per molti indiani avere un figlio con disabilità significa aver ricevuto un regalo divino. Quell’anima avrà di sicuro molto da insegnare ai propri famigliari e a chi gli sta intorno. “Personalmente non so se sia una questione spirituale o meno, ma Xavier ha una particolare abilità nel leggere le emozioni degli altri. Eravamo in spiaggia tempo fa, c’era una ragazza seduta a guardare il mare, lui non ha esitato un attimo, si è avvicinato e l’ha abbracciata. La donna ci ha poi raccontato che suo marito era stato trasferito lontano in una base militare e che in quel momento lo ricordava con malinconia. Non è stata la prima volta, credo sia molto sensibile e capace di capire cosa prova chi è vicino a lui”. L’arte del mettersi in ascolto e dell’empatia non conosce confini di alcun tipo: basta avvicinarsi ed è fatta.