In ufficio non è tutto ‘smart’
Open space, posti di lavoro allargati e condivisi, frutta fresca e caffè a volontà. Tutti insieme appassionatamente: bello lo smart working, ma non ci vivrei.
Di Laura (la Ficcanaso)
Pubblichiamo un contributo apparso su Ticino7, disponibile anche nelle cassette di 20 Minuti per tutto il fine settimana.
Anni fa guardavamo con ammirazione l’amica assunta in una grande azienda: 500 impiegati, 200 scrivanie, zero posti assegnati. Una mattina potevi arrivare e trovarti al fianco l’amministratore delegato, accomodato col suo pc portatile in un punto qualunque dell’open space, all’esterno del quale si trovavano acqua e frutta fresca a disposizione di tutti. Ma poi perché andarci, in ufficio? La tecnologia ci consente di fare qualunque cosa a distanza e le magnifiche sorti e progressive erano finalmente a portata di mano (almeno per lei).
Bella la modernità
Del resto, siamo talmente moderne da aver sempre creduto nelle relazioni a distanza. La convivenza – Dio sa se oggi ne abbiamo le prove – peggiora tutto e tutti e l’ecosistema di un ufficio non è così distante da quello di una coppia e di una famiglia. Ci si odia a intervalli regolari. Si gode infinitamente nei momenti di solitudine. Quando i biscotti durano per settimane, la stampante non è intasata, il cesto della biancheria rimane vuoto per più di cinque minuti, alla macchinetta del caffè non c’è coda né aspettativa sociale di chiacchiera.
Galvanizzate dai racconti dell’amica e dalle profonde analogie tra rapporti di coppia e rapporti di lavoro affrontiamo lo smart working con la positività delle persone di larghe vedute. Vestite di tutto punto sediamo al tavolo del soggiorno a riaprire quel file che in ufficio non riusciamo a completare. In due ore il lavoro finisce e non c’è neanche una collega con cui chiacchierare; la situazione peggiora quando la prole resta a casa per qualche motivo. Dopo pochi giorni, l’esperimento sociale si trasforma in incubo: si sgomita pur di uscire, si inventano riunioni fondamentali, si accusa l’ottusità dei capi: «Sai, lui odia fare le call, devo andare io in ufficio».
La fine di tutto
Vorrei dirvi che il sogno è durato poco. La favola delle scrivanie in difetto è finita pochi anni dopo, quando un terzo dei dipendenti dell’azienda luminosa e progressiva è stato impietosamente licenziato. La loro presenza, nella sede ricca di acqua e frutta e povera di scrivanie, era così aleatoria da essere diventata accessoria.
I rapporti a distanza devono sempre sfociare in qualche forma di convivenza: occorrerà pure dare sostanza ai litigi, no? L’amore non è sempre cosa per gente di larghe vedute.