Emergency e i diritti umani
Da oltre 25 anni l’associazione umanitaria fondata da Gino Strada offre cure mediche e chirurgiche gratuite alle vittime delle guerre e della povertà. Ma nuove sfide si aggiungono, anche a due passi da noi.
Di Natascia Bandecchi
Era una sera del 15 maggio quando, intorno ad un tavolo da cucina, venne fondata l’associazione umanitaria Emergency. Gino Strada, medico specializzato in chirurgia d’urgenza, in compagnia di sua moglie Teresa e di suoi colleghi e amici, decidono di dare vita al sogno di creare una struttura che potesse aiutare chi soffre e ha bisogno di aiuto.
In ricordo
Oggi Teresa non c’è più, ma fa parte indissolubilmente della ONG italiana che da 25 anni ha portato cure gratuite alle vittime delle mine, delle guerre e della povertà in 18 Paesi, curando più di 10 milioni di persone. Lo scorso primo settembre è stata celebrata la sua memoria a 10 anni dalla scomparsa con una festa nel giardino di Casa Emergency, lì a due passi dai navigli milanesi. Nemmeno le zanzare hanno oscurato per un attimo l’energia che si è materializzata grazie all’atmosfera creata dalle «padrone di casa»: Fiorella Mannoia e Paola Turci, che si sono esibite in un concerto minimalista e coinvolgente. Non poteva mancare Gino Strada, che sono riuscita ad avvicinare e che mi ha colpita molto per il suo sguardo estremamente intenso e le sue parole chiare.
Mai come oggi la difesa dei diritti umani è fondamentale. «Noi tutti abbiamo imparato molto da Teresa, dalla sua semplicità nel costruire i diritti umani e nel difenderli quando venivano attaccati. A volte mi chiedo cosa direbbe della situazione attuale vedendo tutti quei bambini sui barconi e molti annegati». Sono di attualità le odissee vissute dalle ONG che navigano il mar Mediterraneo per trarre in salvo migranti che cercano una vita migliore, anzi, una vita da vivere. «Che senso ha bloccare le navi in mezzo al mare, agire in questo modo non è un segno di civiltà e rispetto. Se Teresa fosse qui direbbe che il mondo si è totalmente rivoltato. Dove sono i valori? Dove sono i principi? Dove stiamo andando?».
La guerra, le guerre
Tempo fa proprio Gino Strada disse che la guerra era una malattia. Il tempo è passato e ci si chiede se per questa patologia esista una cura. «La cura c’è, è chiarissima ed è quella di non fare la guerra. Non c’è alternativa, è stato dimostrato anche a costo di tragedie immani che la guerra non si può modulare, non si può abbellire, far andare secondo i propri desideri strategici o qualsiasi altra stupidaggine dei politici. La guerra è un’entità che ha una sua dinamica disumana e fuori controllo perché sostanzialmente significa che, per esempio noi due decidiamo di ucciderci a vicenda. Se la gente sovrapponesse la foto del proprio bambino a quella di un bimbo che sta sui barconi forse capirebbe come viene declinata la guerra».
In tutti questi anni il genere umano ne ha combinate di cotte e di crude: ha distrutto il distruggibile e ha addirittura creato la possibilità di estinguere la specie. «Ci perdiamo davanti all’unica possibilità che ci rimane, e cioè abolire la guerra. Cancellarla dai nostri comportamenti, non solo con un trattato di rinuncia alla guerra, che peraltro esiste firmato da tutti e datato 1928, ma che nessuno rispetta. Tutti i signori della politica, quelli che decidono le guerre, sono dei criminali anche secondo la legge, non solo dal punto di vista morale».
Gino Strada si indigna pensando all’Italia e ad altre realtà dove la civiltà non dovrebbe permettere certe cose: «Il fatto che Emergency intervenga in Italia ci dice chiaramente quanto siano indifferenti e incivili i Paesi ricchi rispetto non solo ai migranti, ma anche alla propria popolazione. Credo che un Paese civile dovrebbe investire in istruzione, cultura, sanità, lavoro, servizi pubblici e sociali, ma purtroppo vedo tendenze totalmente opposte. Ci sono tagli dove invece bisognerebbe investire, dove vanno quindi i soldi? La mia impressione è che si continui a cambiare l’equipaggio ma la direzione non sia molto diversa. Non sono dentro le dinamiche della politica, ma dico che il cambiamento che mi aspetto è in primis quello morale dove i diritti umani devono diventare il primo punto».
Emergency in Italia
Andrea Belardinelli è il coordinatore del programma Italia Emergency dal 2011. L’avventura italiana è nata con degli ambulatori fissi a Palermo nel 2006. «I diritti che volevamo garantire all’estero in qualche modo venivano disattesi anche in Italia. Da lì abbiamo iniziato a pensare alle fasce vulnerabili della popolazione che, all’epoca, erano principalmente migranti. Presero forma le prime strutture di assistenza socio-sanitaria in cui operavano medici, mediatori culturali, infermieri, psicologi eccetera».
Dalla punta dello stivale, Emergency Italia, si è propagato aprendo delle strutture dalla Sardegna a Venezia, Ragusa, passando dalle zone terremotate del centro e arrivando sino all’estremo nord di Milano. Oggi nella Penisola ci sono 13 strutture: «Quello che ci proponiamo di fare è quello di dare una prima risposta sanitaria a chiunque abbia bisogno. Purtroppo ci siamo resi conto che tra i nostri pazienti, non ci sono solo migranti, ma anche fasce italiane che non ce la fanno ad arrivare a fine mese, e che quindi hanno difficoltà a curarsi e a capire un sistema sanitario che è abbastanza complesso. Tra i nostri compiti ci sono anche quelli di fare prevenzione, educazione sanitaria, gestione di gravidanza, perché chi è in una situazione di marginalità, ha difficoltà ad accedere a tali servizi». Gli ambulatori mobili di Emergency Italia si spostano nelle zone remote dove, per esempio, tutto il mondo dei braccianti stagionali lavora. «Avere l’ambulatorio a quattro ruote è prezioso, perché arriva direttamente dove ce n’è bisogno ed è importante enfatizzare l’aspetto di prossimità, non solo fisica, ma di fornire un servizio in aree critiche. Non ci vogliamo sostituire a nessuno, siamo semplicemente un’antenna che cerca di fotografare una realtà in cui operiamo e diamo il nostro piccolo contributo seguendo dei protocolli di intesa con le istituzioni».
Felici di aiutare
Tante le storie di vita incrociate da Andrea in questi anni di attività per Emergency: dai salvataggi in mare sulle tratte del Mediterraneo, sino alla collaborazione più recente di agosto a bordo della nave “Open Arms” per dare supporto psicologico e di mediazione ai loro operatori. «Quello che mi ha sempre colpito, soprattutto pensando alle zone più neglette italiane – quelle che in poche parole non fanno notizia –
sono le persone che vivono situazioni di profondo disagio. Si pensa spesso che la loro più grande difficoltà sia la povertà, invece ho scoperto – paradossalmente – che questo fattore è la loro grande ricchezza in termini di umanità e di voglia di vivere».
Andrea inizia a raccontarmi di quella signora che vive in una zona terremotata e che per molto tempo non aveva visto nessuno e che non vedeva l’ora di condividere con gli operatori di Emergency una crostata fatta con le sue mani. «C’è poi il migrante che ha rischiato la pelle durante il suo viaggio verso l’Europa vivendo violenze inenarrabili e che, nonostante tutto, ti guarda e ti dice che ha dei sogni, dei progetti di vita e che ha una dignità e un coraggio che io sinceramente non so se avrei dopo aver passato quello che ha passato lui. Persone che hanno una forza incredibile e che trasmettono una serie di valori e che, dal mio punto di vista, si racchiude in una parola che ultimamente si è molto banalizzata: umanità». Una democrazia si basa sul rispetto comune, sui valori fondamentali della giustizia e non prevaricare sui più deboli. «Penso a un sisma, dove in un attimo si è perso tutto e non c’è una visione di futuro, però si va avanti, si continua a lottare e si coltiva il senso della vita. Questa è una forza pazzesca che non è scontato vivere. Io sono fortunato perché ho questa opportunità e ogni mattina quando mi sveglio sono felice del lavoro che faccio».