In vacanza con rigore
Siete stanchi delle solite “noiose” settimane al mare o in montagna? Le città d’arte vi annoiano? Venite al fronte, con noi…
Di laRegione
Pubblichiamo un contributo apparso su Ticino7, disponibile anche nelle cassette di 20 Minuti per tutto il fine settimana.
Quella dei ‘boot camp’ o campi di addestramento è solo l’ultima tendenza. Ma che cosa si nasconde dietro al desiderio di riempire il nostro tempo libero con esperienze segnate da ambienti selvaggi, disciplina, tecniche di combattimento e il bisogno di mettersi alla prova?
Ottobre. E le vacanze per molti di noi sono solo un lontano ricordo. Ma certo rimane vivo il ricordo delle pigre giornate al mare, le vivaci escursioni in montagna, il fascino delle città d’arte, le serate conviviali… tutto contribuisce a renderci più rilassati e tolleranti. E parte del piacere del rientro è dato proprio dal racconto del viaggio, proprio e quello degli altri.
«E tu? Cosa hai fatto quest’anno?» chiedi all’amica nota per la passione per le mete esotiche, «Bogotà? Katmandu? Oppure alla fine hai optato per il Kirghizistan?».
«Ehm, no, quest’anno ho scelto una vacanza un po’ diversa dal solito: ho trascorso due settimane in un campo di addestramento para-militare…».
«Ah, interessante!», commenti tu, cercando di non lasciare trasparire l’inquietudine al pensiero che l’amica, persona che conosci come tranquilla e ragionevole, sia diventata a tua insaputa un’esponente del suprematismo bianco.
Le motivazioni addotte dissipano ben presto questo timore e ciò che ti sembra di capire, mano a mano che l’ascolti parlare, è che l’interesse per tale genere d’esperienza consista nella ricerca di uno stile di vita basico, essenziale e quindi, presumibilmente, «più autentico». Fra i fattori menzionati: il contatto con la natura, la fatica fisica, il bisogno di mettersi alla prova, di misurare i propri limiti e magari superarli, per esempio imparando a orientarsi in un bosco oppure ad accendere un fuoco senza i fiammiferi… «Insomma, un po’ come partire con gli scout», commenti tu in un evidente tentativo di normalizzazione. «In un certo senso…» risponde lei sibillina, lasciandoti con la sensazione che ti sia sfuggito qualcosa.
Un mondo sommerso
Una volta a casa, senti il bisogno di approfondire e ti affidi alla rete. Salta fuori di tutto: campi di addestramento stile Marines (i cosiddetti boot camp), corsi di sopravvivenza, viaggi-avventura in zone di guerra (o comunque limitrofe), ritiri di digital detox eccetera.
L’offerta è ampia e variegata, il target a cui si rivolge anche: spazia dalle aziende (con proposte, talvolta al limite dell’etico, di team-building «estremo») agli adulti in cerca di una migliore forma fisica – un tipo di fitness che sembra vada per la maggiore a Hollywood –, agli uomini e alle donne mossi da un desiderio di empowerment personale (per «diventare più consapevoli delle nostre capacità e confidenti in noi stessi»; patriotsurvivalschool.com), fino ai ragazzi, quelli con i genitori preoccupati del fatto che «passino troppo tempo da soli con l’iPhone» (loro cercano di spiegarglielo, che si tratta di un ossimoro, ma non c’è verso) o perché «non hanno ancora capito che cos’è la vita vera».
La cosa sorprendente è che ai ragazzi l’idea piace, quasi sempre, anche se significa razionare lo smartphone a un’ora al giorno – circostanza impensabile in condizioni «normali» – e sottoporsi a una disciplina che può essere più o meno rigorosa, ma comunque impegnativa. Il boot camp piace ai ragazzi così come piace loro Il collegio, un reality nel quale un gruppo di adolescenti come loro risiede in un convitto vecchio stile, adattandosi, con più o meno successo, a un contesto educativo rigido e volutamente antiquato. Il format, nato in Gran Bretagna nel 2003, ha avuto grande successo ed è stato replicato in otto Paesi fra cui l’Italia, dove a breve verrà trasmessa la quarta edizione.
Dunque, riassumendo: regole, disciplina, spirito di squadra e la rinuncia temporanea alla tecnologia per scoprire, o riscoprire, la capacità di «cavarsela da soli». Non sarà mica che troppo agio ci ha stufato?
Tornare a giocare
Il fascino dell’avventura, anche se perfettamente controllata, è innegabile. Fra le attività elencate nel sito sopra citato, per esempio, figurano (in ordine sparso) «tecniche di fuga ed evasione», «camuffamento e occultamento», «imparare a seguire le tracce degli animali selvatici». L’aspetto ludico appare preminente, anche quando – non di rado – si gioca a fare la guerra: nei corsi più avanzati, le «lezioni» concernono «leadership e tecniche di combattimento», «pronto soccorso in un ambiente selvaggio» (subito ti viene in mente Rambo che si cuce il bicipite lacerato), «costruire attrezzi utili alla sopravvivenza» (… tipo?!) e «imparare a maneggiare armi da fuoco di piccole dimensioni».
Non a caso, molti degli istruttori che lavorano in questi luoghi sono veterani o ex militari, a conferma del fatto che la valenza belligerante, che si tratti d’imparare a maneggiare un coltello o a costruirsi una fionda, è parte integrante del pacchetto. Ma non era così che ci si divertiva anche da piccoli, condizionamenti di genere permettendo?
Se, agli occhi di chi scrive, l’attrattiva del survival camp presso gli adulti consiste in una (costruttiva!) regressione ai giochi dell’infanzia, per i ragazzi le motivazioni appaiono invece diametralmente opposte: al netto del divertimento, è la ricerca di una regola che forse risulta più motivante. Il che non dovrebbe stupirci, considerato che l’ansia rappresenta la forma di disagio mentale più diffusa fra i giovani delle ultime due generazioni (Millennials e iGen, le prime del nuovo millennio).
Alla ricerca di regole
Le ragioni sono del tutto oggettive: dalla recessione economica sperimentata a partire dalla crisi dei subprime nel 2007 al cambiamento climatico in atto. A lato di questi macrofattori, molti osservatori puntano però il dito sullo stile educativo dei genitori – i cosiddetti «genitori elicottero» – che sarebbe caratterizzato da una tendenza a controllare i figli in maniera prolungata e continuativa, fino ad arrivare a sostituirsi a loro nello svolgimento d’importanti compiti evolutivi (confronto con l’autorità scolastica, inserimento nel gruppo dei pari ecc.). Questa condotta impedirebbe ai ragazzi di acquisire quelle capacità di auto-regolazione che consentono di mantenere le oscillazioni emotive (ansia in primis) all’interno di un margine di «tollerabilità».
Ora, se la regola è un’infrastruttura psichica fondamentale, perché fornisce contenimento e, quindi, stabilità emotiva, allora il campo d’addestramento diventa metafora della ricerca di una norma di cui, a vari livelli, in molti oggi sembrano accusare la mancanza.