Sri Lanka, ovvero l’isola della serendipità

Il termine indica la fortuna di fare felici scoperte per puro caso, di trovare una cosa mentre se ne stava cercando un’altra

Di laRegione

Pubblichiamo un contributo apparso su Ticino7, disponibile anche nelle cassette di 20 Minuti per tutto il fine settimana.

La spiaggia di Hikkaduwa è inondata dalla luce rosa del tramonto. I surfisti prendono le ultime onde della giornata all’orizzonte. Mi trovo seduta sul terrazzo in legno di un locale vegano aperto da poco. Con il corpo rilassato dallo yoga, guardando il sole che viene inghiottito dalle nuvole, mi sento fortunata. Sandra, la proprietaria del Bodhi Café, mi dice che in Sri Lanka è normale sentirsi così. “Il termine serendipità è nato qua, questa terra ha il dono di favorire scoperte felici per puro caso e di trovare una cosa non prevista mentre ne cercavi un’altra”. Sarandīb era l’antico nome persiano dello Sri Lanka. In un’antica fiaba persiana, tre principi partono per un viaggio. Lungo il cammino, indizi fortuiti ed intuizioni dovute al caso e talvolta alla loro sagacia li salvano mostrando loro la via migliore. Nel 1754 lo scrittore Horace Manna, ispirato dal racconto, scrive una lettera al suo amico Horace Walpole a Firenze e vi inserisce un nuovo termine: serendipità.

Forse è il motivo per cui Sandra si è trasferita qua dall’Europa con la sua giovane famiglia? Il viaggio che mi ci porta è accaduto senza ombra di dubbio sotto la stella dei principi di Serendippo. La prima volta arrivai in Sri Lanka nel vascello in carne e ossa di mia madre, ero ancora un embrione. Ancora oggi lei ricorda il piacere provato, appena scesa dall’aereo, nel respirare l’aria umida, calda e dolce di questo paese. Per tornarci e sentire quell’aria con le mie narici avrei dovuto aspettare 35 anni e una serie di coincidenze. Ed eccomi all’aeroporto di Colombo, capitale ultramoderna di questa nazione-isola, che per il resto sembra ancora dormicchiare in un limbo senza tempo. Passati i quartieri in stile Dubai della città, si arriva al vero Sri Lanka.

Sfide, resilienza e serenità

Qual è la forza del popolo dello Sri Lanka? Lo chiedo a Nawodh, mentre beviamo un centrifugato verde. Siamo seduti nel piccolo surf shop che il trentenne di Colombo ha aperto assieme a café, hotel e ostello. “La nostra risorsa è… la resilienza”, dice pensieroso. “Abbiamo saputo passare attraverso 30 anni di guerra civile, uno tsunami che ha distrutto le nostre coste, con una forza inimmaginabile e oggi ci trovi con il sorriso, pronti a vivere il presente con speranza e voglia di fare”. Nawod ha ragione, il popolo dello Sri Lanka sembra quasi non mostrare le ferite del suo passato burrascoso. La filosofia di accettazione e positività insita nel buddhismo ha sicuramente un ruolo nel coltivare tale attitudine. La lunga guerra civile tra il governo e il fronte di liberazione dei Tamil Tigers si è protratta dal 1983 al 2009. Nonostante queste non siano visibili al primo sguardo, come ogni guerra, anche questa ha lasciato le sue cicatrici.

Nel 2004 le coste dell’isola hanno subito un altro violento attacco, questa volta da parte della natura. Lo Tsunami ha causato oltre 30’000 morti solo sulla costa est, e ingenti danni ai campi agricoli. I fratelli singalesi proprietari del Funk Bar & Hotel di Hikkaduwa mi raccontano che dopo che lo Tsunami aveva distrutto tutta la loro proprietà, fronte spiaggia, il loro stoico padre partì per Zurigo dove guadagnò i soldi necessari alla ricostruzione cucinando curry.

La storia di Nawodh è diversa. Cresciuto a Colombo, dopo 5 anni passati in Austria come diplomatico è tornato nella sua terra. “Avevo deciso di cambiare vita e così presi una macchina e mi misi a girare la costa sud dell’isola alla ricerca del posto giusto”, racconta, “lo Sri Lanka è un paese con lunghe spiagge dorate, onde costanti per la pratica del surf e una ricca cultura: qui il settore turistico può soltanto crescere — la mia speranza oggi è che cresca nel rispetto dell’ambiente e della popolazione locale”. Sarandīb colpisce una volta ancora e Nawodh giunge nel luogo a lui destinato. “A un certo punto sentii mio padre al telefono che mi disse: figlio devi andare a Hyriketia, quella baia incontaminata dove vi portavo quando eravate piccoli, è lì che devi iniziare la tua attività”.

Idillio tropicale e surf

Guidato dai ricordi, Nawodh approda nella baia più incantevole di tutta l’isola e capisce subito il potenziale del luogo. “Allora, a parte qualche semplice ristorante sulla spiaggia e guesthouse, non c’era ancora nulla”. Hiriketiya, una dolce mezzaluna bordata di palme con due surf break che producono onde tutto l’anno, è la quintessenza del sogno tropicale. Quello di destra, con fondo sabbioso, è perfetto per chi sta imparando, mentre quello di sinistra con il fondale roccioso produce onde più potenti per i surfer più avanzati. Nell’ultimo decennio la baia ha visto sorgere molte attività, per ora per fortuna nel rispetto dei ritmi locali: la musica finisce presto la sera, gli edifici sono di piccole dimensioni e ci si sposta perlopiù a piedi, in bici e in tuc-tuc. Come Nawodh altri giovani, sia locali che stranieri, decidono di lanciare un’attività qua. Penso a Cassandra (parrucchiera) e Romain (istruttore di wakeboard), una giovane coppia del Sud della Francia che si è innamorata della vita semplice di qua. Li incontro surfando a Hiriketiya e mi dicono che stanno cercando il posto giusto e sbrigando le pratiche burocratiche per aprire la loro attività. “Il nostro desiderio è far appassionare a questo paese magico chi ci visita”, dice Cassandra.

A caccia di nuove onde e nuove mete, a Weligama conosco una coppia di giovani inglesi che ha appena aperto un ostello. Purtroppo l’acqua è molto inquinata. Mi tornano in mente le parole di Nawodh e la sua speranza che il rapido sviluppo turistico che sta vivendo il suo paese vada a braccetto con uno sviluppo delle normative ambientali. L’inquinamento dell’aria e dell’acqua sono delle sfide primarie per l’isola. Vista l’instabilità politica del paese, l’attenzione a questi temi non è una certezza.

Mezzi di trasporto creativi

Come ci si sposta in Sri Lanka? In treno, con i bus locali oppure con autista privato. L’opzione “affitto una moto o un’auto e me la giro da solo” è riservata agli impavidi: il traffico qui è selvaggio. A seconda delle tratte da percorrere a volte è più pratico il treno, altre il bus. Gli autobus locali sono un ibrido tra un carrozzone da circo e una navicella spaziale. Decorati con stampe manga, la televisione che proietta ininterrottamente video musicali. Si viaggia a finestre e porte rigorosamente aperte ed è una delle occasioni in cui il viaggio ti permette una full immersion nella popolazione locale. Armatevi di buono stomaco (o cicche per la nausea) e un po’ di coraggio, perché i conducenti locali sono spericolati e la musica può essere tanto folkloristica quanto invasiva. I viaggiatori meno audaci potrebbero preferire un autista e una guida locali: assieme ad Athula ho avuto l’opportunità di conoscere in profondità i segreti dell’entroterra. Dai mistici templi buddhisti scavati nella rocce di Dambulla al fascinoso tempio del Dente del Buddha di Kandy, dove ogni giorno i fedeli accorrono per pregare e portare fiori di loto.

L’entroterra è caratterizzato da un territorio montagnoso, dalle mistiche nebbie e dalle ampie distese verdi del tè. Visitando una delle numerose fabbriche di tè scopro che tè bianco, tè verde e tè nero vengono tutti dalla stessa pianta. A cambiare per l’uno o per l’altro sono la maturazione delle foglie, la miscela e l’elaborazione. Athula spiega che lo Sri Lanka è a maggioranza buddhista, con una percentuale inferiore di induisti, musulmani e cristiani. I Tamil furono portati qua dai coloni inglesi nell’Ottocento, come schiavi, per lavorare nelle piantagioni da tè. Benché ora — dopo interminabili battaglie — godano dello statuto di cittadini, ancora oggi molti Tamil continuano a lavorare nei campi da tè dell’isola in condizioni molto umili. Sebbene agli occhi del turista si tratti di una visione bucolica, il lavoro nei campi prevede lunghe giornate al sole e alla pioggia, con le gerle per portare le foglie sulle spalle. Nei pressi delle piantagioni si trovano piccoli villaggi fatti di latta e fili su cui svolazzano abiti appesi ad asciugare, dove vive chi lavora nelle piantagioni. La nota positiva è che più del 90% dei bambini cingalesi va a scuola ed è alfabetizzato, una buona promessa per il futuro.

E poi Sri Lanka è… le famiglie di elefanti allo stato selvaggio nell’Udawalawe National Park, quel che resta dell’incredibile sogno architettonico realizzato sulla roccia di Sigyria e ancora, le fragole locali con la panna mangiate lungo la strada delle piantagioni di tè. E molto altro. Sri Lanka si imprime nella mia memoria come un paese dalla natura rigogliosa, ancora in gran parte preservata dalle mani avide dell’uomo, generatore di inaspettate svolte e fortunate sorprese.

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