Automobilisti stressati, ansiosi, aggressivi
Psicopatologia di quelli che quando sono al volante diventano Mr. Hyde, in attesa del pilota automatico…
Di laRegione
Pubblichiamo un contributo apparso su Ticino7, disponibile anche nelle cassette di 20 Minuti per tutto il fine settimana.
Nella scena più famosa di ‘Christine, la macchina infernale’ (1983) – uno di quei film che, pur non essendo esattamente dei capolavori, tendono a installarsi in pianta stabile nell’immaginario collettivo – il protagonista, un ragazzo timido preso di mira dai compagni di scuola, contempla sconsolato la sua Plymouth Fury rosso fuoco che è stata gravemente danneggiata dai bulli. «Non ci faranno più del male» le sussurra, appoggiando teneramente il mento sul tettuccio ammaccato, «no, se restiamo insieme». Poi, dopo averle fatto pat-pat sul montante, si allontana di qualche passo e la incita con affetto: «Allora, fammi vedere». L’auto, che com’è noto è posseduta da uno spirito demoniaco, si rigenera da sola sotto lo sguardo galvanizzato e un po’ folle del ragazzo, pronta a rimettersi in pista per cercare la vendetta.
Ora, con questo non si vuole certo insinuare che tutti gli automobilisti instaurino con la propria vettura un rapporto simile a quello fra Christine e il suo proprietario, ma è innegabile che, in molti casi, l’auto diviene il catalizzatore di emozioni e aspirazioni non sempre o non completamente costruttive. Soprattutto quando c’è traffico.
«Il numero di automobili private che circolano giornalmente sulle strade continua ad aumentare in maniera costante» affermano due psicologi della guida. «Di conseguenza la competizione per lo spazio, i livelli di congestione e altre potenziali fonti di frustrazione, irritazione e stress sono aumentati esponenzialmente» (Hennessy & Wiesenthal, Traffic Congestion, Driver Stress, and Driver Aggression, 1999). D’altro canto, «l’esposizione prolungata o reiterata a situazioni stressanti è stata associata a una maggiore predisposizione al comportamento aggressivo» (ibidem). Nello specifico, diverse ricerche hanno evidenziato come gli ingorghi stradali o altre forme di impedimento alla circolazione tendano a innalzare il tasso di animosità degli automobilisti, e il problema pare riguardi un po’ tutti. A riprova di ciò un altro studio (Vest et al., Road Rage, 1997) descrive casi di aggressività automobilistica perpetrati da individui che non rientrano esattamente nello stereotipo dell’uomo giovane e propenso al rischio, con pregressi antisociali e violenti. Per esempio, «a Salt Lake City, nello Utah, un automobilista di 75 anni, irritato da un clacson suonato da un altro automobilista perché stava intralciando il traffico, lo ha inseguito fino a costringerlo ad accostare. Poi gli ha scagliato addosso una bottiglia contenente delle medicine e, in uno slancio di geriatrica determinazione, gli ha fratturato le ginocchia con la sua Mercury del ’92» (ibidem).
A lato di questi episodi estremi, ma per fortuna piuttosto rari, forme più tenui di aggressività automobilistica – suonare il clacson, imprecare all’indirizzo delle altre auto, tallonare intenzionalmente qualcuno, fare lampeggiare gli abbaglianti, impedire a chi sta dietro di superare – sono in netta crescita fra coloro che passano molto tempo al volante. Questi comportamenti sono dovuti a un’interpretazione ostile del comportamento degli altri automobilisti, le cui «manovre» vengono lette come tentativi di «fare i furbi» o addirittura come espressione di una volontà di prevaricazione.
Ciò è favorito dal fatto che, stando in auto, la nostra percezione dell’altro tende a essere un po’ «depersonalizzata». Non potendo vedere, se non a tratti e da lontano, il viso degli altri automobilisti, diventa più facile scivolare in stereotipi negativi, cosa che ci viene proporzionalmente più difficile quando, per esempio, siamo in fila per raggiungere una cassa e qualcuno ci passa davanti, ma poi lo guardiamo e ci accorgiamo che non ci ha visto oppure non ha capito che siamo in coda anche noi. Questa parziale depersonalizzazione ha anche un fronte «interno», poiché l’abitacolo dell’auto si configura come una sorta di guscio protettivo che potenzia il nostro ego e che, garantendoci al contempo un parziale anonimato, allenta un poco i freni inibitori.
Se sul piano cognitivo l’aggressività automobilistica scaturisce dall’attribuzione di intenzioni ostili agli altri guidatori, sul piano emotivo la rabbia tende a presentarsi – come capita anche in altri contesti –
insieme all’ansia: due emozioni che sono spesso difficili da districare. Entrambe comportano infatti un processo di attivazione simile, caratterizzato cioè dal rilascio di adrenalina e cortisolo nel sangue, con conseguente aumento della frequenza del battito cardiaco, innalzamento della pressione sanguigna, accelerazione del respiro e così via. Si tratta della nota reazione di fight or flee (letteralmente, «combattere o fuggire»), una complessa risposta psicofisiologica che si attiva in presenza di una minaccia e che predispone l’organismo a fronteggiare nel miglior modo possibile la situazione. Secondo altri due psicologi (Zinzow and Jeffirs, Driving Aggression and Anxiety: Intersections, Assessment, and Interventions, 2018), nel contesto dell’aggressività automobilistica, ansia e rabbia «possono essere concettualizzate come manifestazioni concomitanti di un sistema integrato di risposta», ovvero come le due facce della fight or flee response. In effetti, gli studi dimostrano che guidare in condizioni di traffico intenso attiva questo tipo di risposta, in cui il prevalere dell’emozione di rabbia corrisponderebbe al polo «combattivo», mentre quella di ansia al polo «fuggitivo». Parimenti, gli automobilisti che tendono ad arrabbiarsi mostrano anche una più spiccata attitudine a recepire i comportamenti di guida scorretti come provocatori od ostili, laddove quelli che manifestano ansia o evitamento pongono l’accento sulla pericolosità di tali comportamenti.
In sintesi, la guida «ansiosa» e quella «rabbiosa» costituirebbero due diversi modi di reagire allo stress, simili sul piano fisiologico ed emotivo ma differenti nelle loro caratteristiche cognitive e comportamentali. In entrambi i casi, le ricadute in termini di benessere psicofisico e qualità della convivenza (su strada) non sono particolarmente positive.
Per contrastare gli effetti «intossicanti» dello stress automobilistico gli interventi indicati consistono di solito nell’apprendimento di tecniche di rilassamento e/o meditazione (training autogeno, mindfulness ecc.), alcune delle quali utilizzabili in loco, per esempio quando rimaniamo incastrati in una coda chilometrica in autostrada, e c’è quello dietro che suona come se dovesse tornare a casa solo lui. Ecco, è in quei momenti lì, quando ci accorgiamo che la nostra mano sta lentamente scivolando verso il cric sotto il sedile del passeggero, che diventa opportuno concentrarsi sul respiro e liberare la mente dai pensieri negativi.
Può inoltre essere utile ricordarsi che dentro quell’auto che invece ci ha appena tagliato la strada ci potrebbe essere chiunque: una persona che sta portando di corsa un congiunto in ospedale, qualcuno che ha appena ricevuto una notizia sconvolgente o un anziano che dopo molto tempo ha deciso di mettersi alla guida per andare a trovare un amico lontano. Al fine di ridurre l’effetto depersonalizzante comportato dalla dimensione «materica» dell’automobile, facciamo mente locale sul fatto che è guidata da una persona, per lo più simile a noi, non necessariamente arrogante solo perché ha la macchina nuova e non per forza intenzionata a esasperarci soltanto perché va lenta.
In ogni caso, sulla base di quanto affermano gli esperti del settore automobilistico, presto il problema dello stress-aggressività automobilistico sarà solo un ricordo in quanto, semplicemente, smetteremo di guidare. Le vetture autoguidate rappresentano una tecnologia già esistente che necessita «solo» di un’infrastruttura adeguata per essere implementata e la rete 5G sarà il passo decisivo verso una transizione che potrebbe aiutarci anche a liberarci da situazioni stressanti. Nel frattempo, però, andiamoci piano.