Effetto Flynn inverso: stiamo davvero diventando zucconi?
Dagli anni 40 ai 70, il QI medio ha visto una notevole progressione, ma da una cinquantina di anni a questa parte lo stesso sta perdendo punti
Di Mariella Dal Farra
Pubblichiamo un contributo apparso su ticino7, allegato a laRegione
L’intelligenza (che è la somma di più espressioni intellettive) è fra i valori più pregiati della nostra società occidentale ed è misurata con test che sanciscono una scala di punteggio che determina il quoziente intellettivo di ciascuno di noi. Se dagli anni Quaranta ai Settanta, le ricerche hanno dimostrato che il QI medio ha avuto una notevole progressione, da una cinquantina di anni a questa parte lo stesso sta perdendo punti. Molteplici i fattori del suo indebolimento, principalmente di natura ambientale, legati ai cambiamenti nello stile di vita e alla qualità del sistema educativo.
Che cosa significa essere “intelligenti”? Per la psicologia evoluzionistica, l’intelligenza è un dispositivo di adattamento preposto alla comprensione dei diversi aspetti della realtà (materiale e immateriale) di cui siamo parte. In questo senso, sarebbe più corretto parlare di “intelligenze” al plurale, ciascuna delle quali specializzata nella lettura di una particolare dimensione dell’esperienza (per es. visuo-spaziale, verbale, logico-matematica, emotiva, sociale, analitica, divergente etc.); tutte queste espressioni dell’intelligenza sono suscettibili di svilupparsi in misura più o meno ampia rispetto alle altre, sia in funzione della dotazione di base che delle specifiche richieste dell’ambiente. Nelle sue diverse articolazioni, la capacità di interpretare correttamente il mondo tende ad aumentare le probabilità di sopravvivenza di un individuo (e del suo gruppo di appartenenza) e anche la sua qualità di vita attraverso la realizzazione di una “buona” forma di adattamento. Per questo motivo, l’intelligenza è anche un valore: uno dei più pregiati nell’ambito delle società occidentali.
L’età d’oro del quoziente intellettivo
Non stupisce quindi la crescente preoccupazione, con dibattito annesso, suscitata da alcuni studi di recente pubblicazione che indicherebbero una progressiva diminuzione del quoziente intellettivo (QI) nei Paesi avanzati. Se confermati, questi dati segnalerebbero infatti un’inversione di tendenza rispetto a quanto è avvenuto per buona parte del secolo scorso. Numerose ricerche hanno evidenziato come i punteggi ottenuti ai test d’intelligenza siano sostanzialmente aumentati durante il Ventesimo secolo (Dutton, van der Linden, & Lynn. The negative Flynn Effect: A systematic literature review. Intelligence, 2016).
Questo fenomeno è stato definito ‘Effetto Flynn’, dal nome del ricercatore che per primo lo ha documentato basandosi sui dati ricavati dalla somministrazione di scale Stanford-Binet e Wechsler, ovvero i test d’intelligenza più utilizzati per determinare il QI di una persona. Nel primo dei suoi studi (Flynn, 1984), l’autore evidenzia un aumento di 13,8 punti in media di QI fra il 1932 e il 1978, con un incremento di 0,3 punti all’anno o di 3 punti a decade. L’Effetto Flynn è stato documentato non soltanto nei Paesi più sviluppati (Europa e Stati Uniti in primis), ma anche in quelli in via di sviluppo quali Kenya, Turchia, Arabia Saudita, Cina e Sudan.
James Robert Flynn
L’andamento del quoziente intellettivo medio nella popolazione appare strettamente associato agli avvenimenti storici. “Gli incrementi sono stati più forti fra la I e la II Guerra Mondiale, ma mostrano un significativo decremento durante gli anni della II Guerra Mondiale (da 0,72 a 0,21 punti di guadagno su base annuale). A partire dalla fine degli anni 40, i punteggi QI aumentano e poi rimangono stabili fino agli anni 70, dopodiché riprendono a diminuire. Lo stesso andamento è stato osservato sia in rapporto all’intelligenza “cristallizzata” [derivata dall’educazione] che a quella “fluida” [operativa, deputata alla risoluzione di problemi]” (Pietschnig & Voracek. One century of global IQ gains: A formal meta-analysis of the Flynn effect (1909-2013). Perspectives on Psychological Science, 2015).
Fra i fattori chiamati in causa per spiegare il progressivo aumento del QI medio nei Paesi sviluppati durante il XX secolo figurano: una salute migliore, un’educazione più lunga e coinvolgente un numero maggiore di persone, una migliore nutrizione, un sistema scolastico ed educativo più efficiente, uno standard di vita più elevato, famiglie più piccole e più scolarizzate, la maggiore consuetudine a sottoporsi a test e verifiche, e altri fattori di carattere ambientale (Rindermann et al. Survey of expert opinion on intelligence: The Flynn effect and the future of Intelligence, Personality and Individual Differences, 2016).
Inversione di tendenza
L’inversione di tendenza, il cosiddetto “Effetto Flynn inverso” è stato documentato, fra gli altri, da un studio pubblicato nel 2018 da Bratsberg e Rogeberg, due ricercatori norvegesi del Ragnar Frish Center for Economic Research di Oslo. Lo studio ha preso in considerazione circa 730’000 test d’intelligenza, compilati da trenta coorti di giovani (dal 1962 al 1991) in occasione della visita per il servizio militare. L’analisi mostra un aumento costante del QI presso i soggetti nati fra il 1962 e il 1975 (pari a 0,26 punti l’anno) e una contrazione dello stesso indice per gli anni di nascita 1975-1991 (pari allo 0,33-0,34 punti l’anno). Entrambe le variazioni sono state analizzate “all’interno delle famiglie” (“within-families variation”), fra fratelli e figli, consentendo così di escludere che le cause siano di ordine genetico (la cosiddetta “fertilità disgenica” o l’immigrazione).
La notevole ampiezza delle variazioni registrate, e il limitato arco di tempo in cui queste si verificano, indica invece a parere dei ricercatori che i fattori sottostanti tale apparente “declino” siano di natura ambientale, legati a cambiamenti nello stile di vita, come per esempio la modalità di esposizione ai media o la qualità del sistema educativo (Bratsberg & Rogeberg. Flynn effect and its reversal are both environmentally caused. Proceedings of the National Academy of Sciences, 2018).
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Pensiero organizzato su base linguistica
A proposito dei media, vale forse la pena notare che nel 2023 la Svezia ha deciso di vietare l’utilizzo dei tablet a scuola a seguito dei risultati ottenuti nel Progress in International Reading Literacy Study (PIRLS) del 2021, secondo il quale la capacità di lettura degli studenti svedesi fra i 9 e i 10 anni si sarebbe abbassata di 11 punti nell’arco di 5 anni.
Ora, sappiamo che non esistono risposte semplici a fenomeni complessi, e puntare il dito contro un unico fattore sarebbe fuorviante. Ma è altrettanto innegabile che la tecnologia, che ci assiste in modo sempre più efficiente e personalizzato nello svolgimento dei nostri compiti quotidiani, tende di fatto a “disabilitarci” in relazione a certe competenze e capacità: a titolo personale, seppure non abbia dati oggettivi per provarlo, sono quasi certa che da quando uso il GPS il mio senso dell’orientamento sia nettamente peggiorato.
Non siamo più capaci di scrivere a mano, attività che invece favorisce, sul piano neuronale, l’elaborazione verbale del concetto che intendiamo esprimere. E che dire dell’Intelligenza Artificiale, che effettua ricerche, pianifica itinerari di viaggio e redige testi per noi? Il nostro pensiero è organizzato su base linguistica; esternalizzare la competenza insita nello scrivere – un’email o una dissertazione, la lista della spesa oppure un libro – potrebbe temo andare a detrimento della capacità di articolare in modo efficace il nostro discorso interiore.