La sindrome del faggio (perché odiamo le foglie che cadono?)

Inizia a perdere il fogliame da metà ottobre. Improvvisamente. Che scende pacatamente, come lievi pensieri e ricordi, per lunghe settimane

Di Giancarlo Fornasier

Pubblichiamo l’editoriale apparso in Ticino7, allegato del sabato a laRegione.

Le foglie sono caduche, lunghe cinque-dieci centimetri, ovali e brevemente appuntite, leggermente ondulate, di colore verde brillante nella parte superiore, più pallide e un po’ pelose nella pagina inferiore. Quando fuoriescono dalla gemma hanno un colore verde tenerissimo e qualche volta, nel ricordo di una fame tra le montagne dell’Austria, le mastico e le mangio come lattuga. Le gemme sono lunghe e sottili, ricoperte da squame brune. Ma è nell’autunno, tra l’ottobre e il novembre, che le faggete prendono quel color giallo rosso squillante che rallegra la selva” (da Arboreto selvatico, Mario Rigoni Stern, 1991).
La raccolta che l’autore di Asiago dedicò agli alberi è un libro da tenere sul comodino. Per ricordarci che senza di loro non esisterebbero né l’uomo e nemmeno la civiltà. Le pagine dedicate al faggio si muovono tra la botanica e i ricordi d’infanzia, con parole pacate come il calore della legna che arde. Lente, come le sue foglie che cadono per settimane, quasi indolenti. Dure a marcire, te le ritrovi ovunque. E se il faggio è adulto e maestoso anche i vicini ne beneficiano. Oppure si lamentano, perché “entrano in casa, dappertutto!”. Sarà. Poi ad aprile, quando le fronde del faggio torneranno verdi e le sue foglie di velluto, li ammireremo. Meravigliosi. Protettivi. Musicali, quando il vento li pettina. E allora capisci che il vero problema non sono le piante, ma noi tutti intorno.

 

 

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