Daniele Dell’Agnola o la bottega dello scrittore
Autore e docente, ci parla dei suoi progetti per infondere nei ragazzi la curiosità della lettura. E perché no, anche il piacere della scrittura.
Di Sara Rossi Guidicelli
Pubblichiamo un contributo apparso su Ticino7, disponibile anche nelle cassette di 20 Minuti per tutto il fine settimana.
Ascoltare. Ascoltare i ragazzi. È l’unica ricetta che dà Daniele Dell’Agnola, docente di italiano alle scuole medie e insegnante alla Supsi per i futuri docenti. Anche leggere. Leggere molti libri per ragazzi. Arrivare all’inizio dell’anno con parecchie letture alle spalle, possibilmente una per ogni allievo che ti trovi davanti. E poi ascoltarli per sapere cosa amano, cosa vogliono, cosa accende il loro interesse. Quello è il punto di partenza.
Un lavoro sulla memoria
Ma quest’anno ha deciso di intraprendere un lavoro sulla memoria con i suoi allievi di Giornico. Perché? «Un anno fa la bisnonna dei miei figli mi ha chiesto di essere intervistata per fare un regalo alle sue figlie. Questa donna di 80 anni ha gestito per 58 anni un albergo e voleva donarne un racconto di due pagine alle figlie. Le pagine sono diventate 100 e io ho capito che il regalo è prima di tutto per chi scrive. Ho ascoltato la sua storia e questa esperienza è stata favolosa. Così ho pensato di provare a farla vivere ai miei allievi.
Siamo partiti da Il fondo del sacco di Plinio Martini, scritto nel 1970. I miei allievi, di 14 anni, hanno indagato la memoria di persone che in un qualche modo sono punto di riferimento nella loro vita: nonni, mamme, papà, zii, amici di famiglia. La raccolta delle informazioni e del materiale narrativo si è svolta in diversi momenti, con interviste, incontri fatti di parole ascoltate.
Prima le cose importanti
«Nella prima tappa i giovani hanno annotato, in una sorta di mosaico, aspetti della vita che fanno vibrare il cuore al personaggio interpellato e altri che, invece, causano disagio, urtano. Prima di sottoporre la mappatura è stato però importante svolgere lo stesso esercizio lavorando su sé stessi, per comprendere le difficoltà e i tempi necessari a un’attività così introspettiva».
Ciao, mi chiamo X., e mi è vibrato il cuore quando sono nate le mie nipoti. Mi è vibrato il cuore quando sono guarita da un tumore e ogni volta che ricevo visite inaspettate.
Il suggerimento didattico viene da Jenny Poletti Riz, che ha pubblicato per Erickson (2017) Scrittori si diventa. Metodi e percorsi operativi per un laboratorio di scrittura in classe. Per Daniele il senso della scrittura è un atto razionale ed emotivo, in cui le parole pesano e inducono al pensiero. «Sono molti gli allievi che non hanno le parole da mettere sui pensieri e sono molti gli allievi poco abituati a dedicare tempo al pensiero, in un percorso in cui la complessità è ben presente. La sfida è enorme, ma necessaria», spiega.
Una storia come punto di partenza
I ragazzi hanno bisogno di storie per poter immedesimarsi e sentire le emozioni dei protagonisti, per aver voglia di esprimere un parere o un’idea. Con loro, Daniele legge libri di filosofia, per imparare ad argomentare e prima ancora per chiedersi che cosa sia la giustizia; legge libri sul burqa, perché tanto se ne parla e poco se ne pensa; nella sua classe si affronta Tahar Ben Jelloun, Dr. Seuss, la tanto discussa Janne Teller e molti molti altri, scelti per l’ironia, il sogno o l’intelligenza. Spesso perché racchiudono tutto questo. Grazie a un racconto, di qualcun altro, si arriva a parlare di sé. Grazie a una storia particolare, si arriva a parlare del mondo, dei massimi sistemi. Ma tutto parte dal C’era una volta o dalla vita vissuta di chi ti sta vicino e magari però non ti ha mai detto chi è.
Mi chiamo Sergio, ho 83 anni e credo che la morte faccia parte della vita.
«L’incontro con i nonni, le mamme, i papà, le zie, la vicina di casa, si è svolto nel contesto privato, prima che il parlato dei personaggi fosse trascritto», racconta Dell’Agnola. «Sulla carta è stata «travasata» un’oralità che offriva un quadro frammentato di episodi, momenti di vita scollegati e apparentemente senza un senso narrativo. A volte il materiale ricavato si è rivelato scarno, povero di parole, in altri casi gli allievi sono rimasti travolti dai racconti». E intanto si leggeva Il fondo del sacco di Plinio Martini, dove si narrano le vicende di Gori, partito dalla Valle Bavona, nella Svizzera italiana, a inizio Novecento per emigrare negli Stati Uniti. «L’opera, commovente, racconta di un mondo lontano dagli allievi: un’illusione collettiva (scegliere di emigrare in America per trovare un mondo migliore) ma significativa se accostata alle storie dei nonni. Gli allievi hanno dovuto integrare scene descrittive, immaginare i luoghi, i profumi, i colori…».
Nella mia vita ho abitato a Camorino, Altdorf, Thun e Berna, ora sono qui a Pollegio, nella mia camera e riapro la mia valigia dei ricordi. Non è la valigia dei migranti, non è una semplice valigia perché quando la apro ci ritrovo dentro le foto con i miei genitori e i miei amici che ho dovuto lasciare, un vecchio ferro di cavallo e il guinzaglio del mio vecchio cane. Il bagaglio della vita ha l’odore inconfondibile della vecchia casa di Thun che odora di muro appena pitturato.
«Sincero e reale è stato l’ascolto dei ragazzi, che hanno aperto – nelle ore trascorse a casa a registrare interviste – la finestra del passato, delle vite fatte di luce, momenti neri, bisogni, prove da superare», dice l’insegnante. Ma anche a chi è intervistato accade qualcosa di importante. Dare la parola, ascoltare con gli occhi e l’interesse, permette di aprirsi, di scavare nella memoria e nelle emozioni. Un padre ha trovato l’occasione per dire alla figlia:
La cosa che più mi disturba è che quando torno dal lavoro non riesco ad ascoltare mia figlia, da tanto che sono stanco. Non mi dà fastidio lei che parli tantissimo, mi dà fastidio che mi sembra di non riuscire a esserci.
Una mamma ha avuto diritto a un finale bello, forse inventato, ma non per questo meno riparatore, in seguito al suo racconto di una lite con il proprio fratello.
Qualcuno bussa alla porta. Apro. È mio fratello, tiene tra le mani una tazza spezzata in due, e mi chiede: «Hai la colla?».
Il racconto ha questo di bello: rende visibile l’invisibile. Lo fa il teatro, lo fa la poesia, lo fa la letteratura. Crea un legame tra chi parla, chi ascolta, e chi vive dentro al racconto. Le fiabe armene si concludono sempre così: «Dal cielo cadono tre mele: una per chi ha narrato, una per chi ha ascoltato e una per il mondo intero». E alla fine della sua storia, un nonno ha detto:
Mi pare di vederci chiaro, adesso che ho vuotato il sacco.
Yaeli e Nael – © D. Dell’Agnola
ESPERIENZE TICINESI – Da grande voglio fare il lettore
Insegnare a scrivere? Più che altro si può insegnare a guardarsi dentro e a guardarsi in giro. A leggere. Leggere però come diceva Daniel Pennac, come un regalo, senza chiedere niente in cambio. Perché ai bambini si leggono le storie, gratuitamente, poi però quando cominciano ad andare a scuola la lettura diventa un obbligo, un compito solitario, un esercizio di comprensione con schede da riempire e date di nascita dell’autore da ricordare. A volte i genitori e i docenti si fanno complici nel togliere il regalo della lettura.
Si può continuare a leggere le storie anche ai grandi? Ci sono docenti che hanno risposto di sì. Si può e si deve. Così in Ticino troviamo moltissime realtà, oltre a quella di Daniele Dell’Agnola a Giornico. C’è il libro scritto dagli allievi di Manuel Rossello (Scuole medie di Pregassona) per la casa editrice Topipittori Non ero iperattivo, ero svizzero: una serie di mini autobiografie della propria infanzia scritte da dodicenni, tenere e ironiche, che sono partite da una serie di letture di autobiografie di scrittori che raccontano della propria infanzia e adolescenza. Ci sono le esperienze poetiche della docente Tiziana Soldini, alle Medie di Lodrino, la trasposizione di un mito greco in un film della docente Teresa La Scala alle Medie di Acquarossa e molte altre. Sono tutti insegnanti che non cercano un modello preconfezionato di attività di lettura, perché lo stesso progetto non può funzionare in classi diverse, in momenti diversi. Bisogna reinventarlo, ogni volta, insieme ai ragazzi. Bisogna credere in loro e in sé stessi. E c’è Albatros, un’associazione che promuove la lettura nei ragazzi e organizza incontri con gli autori in un Festival che si chiama «Storie Controvento». Si lavora nelle scuole, nelle biblioteche, si collabora con le librerie, in particolare per raggiungere un pubblico tra i 13 e i 17 anni. La prossima edizione del Festival (la settima) si terrà a Bellinzona dal 20 al 25 aprile.
SETTE LIBRI PER L’ADOLESCENZA
Immigrazione
Il ragazzo di Telbana di Paolo Di Stefano (2019). È la storia vera di un ragazzo egiziano che in Italia si iscrive all’università.
Ciò che conta
Niente di Janne Teller (2014). Un gruppo di ragazzini si chiede che cosa sia importante per sé stessi. Forse niente lo è davvero, forse invece ci sono cose che contano.
Crescita
Berlin di Fabio Geda (2015). La nuova saga che racconta la Berlino del 1978 ma con un particolare fantascientifico: dopo i 19 anni si muore a causa di un virus. I bambini e i ragazzi vivono dunque da soli e devono costruire una società.
Senso della vita
Veronika decide di morire di Paulo Coelho (1998). A una ragazza che non ha più voglia di vivere viene diagnosticata una malattia mortale e Veronika si confronta con la domanda: cosa faccio nel poco tempo che mi resta?
Adolescenza
Oro di Marcel A. Marcel (2016). In una famiglia di genitori affidatari si incontrano vari ragazzi senza genitori: chi ha problemi alimentari, chi non si fida più di nessuno, chi si innamora.
Amore a tre
Quando eravamo in tre di Aidan Chambers (2008). Ragazzino che un giorno decide di lasciare il liceo, la morosa e diventa il guardino di un ponte. Lì incontra un ragazzo e una ragazza.
Vita e morte
Skellig di David Almond (2009). La sorellina si ammala gravemente e Michael inizia a trascorrere molto tempo da solo. In garage scopre una strana creatura dall’aspetto umano che lui decide di proteggere.