La storia di Tina, dal Portogallo al Ticino
Un viaggio, un lavoro, una storia d’amore. “Se metto su una bilancia le cose buone e la cacca, le cose buone pesano molto di più”
Di laRegione
In Svizzera ci è arrivata per la prima volta 27 anni fa, Tina. Anzi, la Tina, come la chiamiamo tutti qui in redazione. O più precisamente Sizaltina Maria Correia Fernandes Gana: «Il primo nome è quello della mia madrina, il secondo è perché una volta in Portogallo tutte le femmine venivano chiamate anche Maria e i maschi José», in ossequio alla pietas dell’epoca. I tre cognomi invece sono quelli di mamma, papà e marito.
Non è andata benissimo, quella volta. «Ero venuta per curare mia nipote, poi facevo la cameriera», mi spiega in quel suo «italiano portoghesato» che sembra sempre accompagnato da un sorriso e da una fisarmonica (vi risparmio il cliché sul fado, per una volta). «Mi sono innamorata del Ticino, ma non avevo il permesso. Quando è arrivata la polizia, ho avuto ventiquattr’ore per lasciare il paese. Mi sentivo una criminale».
Poco più che ventenne, Tina è tornata a Valdigem, un borgo piantato fra le vigne della campagna portoghese e ridotto dall’emigrazione a meno di mille abitanti («di sette fratelli che siamo, ne sono emigrati sei»). Là dov’era nata e cresciuta, papà muratore e mamma casalinga: «Mio padre era una persona straordinaria. Mi addormentavo sentendo le urla delle donne del paese picchiate dai mariti ubriachi. Lui invece no: per proteggersi scappavano da noi». Poi c’era la madre, «una roccia, pensa che ha avuto due figli in un anno: credo che ho preso da lei di trovare una motivazione anche quando sto male». E anche se allora era appena finita la dittatura e in Portogallo «si faceva la fame, io fame non ne ricordo». Anche a Natale, «c’era sempre un regalino per tutti, e io ci credo ancora che c’è Babbo Natale». Fu loro la prima televisione in paese, «e mio padre la metteva fuori, così la venivano a vedere anche i vicini». In casa non c’era acqua corrente, «ma ero contenta di andare a prenderla al pozzo, perché sul muretto lì sopra incontravamo i ragazzi».
Una volta rientrata, ha fatto la parrucchiera e ha iniziato a frequentare un ragazzo «tutto diverso da me: voleva fare il dj, aveva un piccolo bar bellissimo tutto arredato da lui, fumava la sua canapa… Io ero l’opposto, diceva che in me trovava la realtà di cui aveva bisogno». È morto giovanissimo, «ma non avrebbe voluto vivere di più se doveva lasciare i suoi sogni. Io mi sono sentita persa, la morte non ti dà risposte». Mi spiazza con un altro sorriso: «Non voglio sembrare melodrammatica: giriamo pagina».
Giriamo pagina, appunto. Poco dopo il Duemila Tina è riuscita a tornare in Ticino, legalmente stavolta. La vita che segue, me la racconta come un mosaico in cui tutte le tessere trovano finalmente il loro incastro: «Voglio credere che c’è qualcosa di buono che ci aiuta quando siamo desesperati (sic)». Perché se quella volta al biaschese Francesco, isolatore di tetti, non fosse scappata la pipì, non si sarebbe mai fermato in quella bocciofila sul Ceneri dove lei faceva la cameriera. «Mi sono innamorata subito. Era troppo bello. Io sono una romantica». Non che si sia fatta avanti: «Io capisco che le cose cambiano, ma è troppo bello avere qualcuno che ci viene dietro, che ci fa la corte». È stato anche un po’ un tira e molla, quel primo periodo, ma alla fine «da quando è tornato con me è stato tutto magico, la soluzione di tutti i miei problemi. Lui è buono. Non stupido, non cretino: buono. Sa che bollo in poca acqua, ma mi lascia sfogare».
Avere un figlio si è rivelato difficile. «Avevo paura di non riuscire. Ho avuto un aborto e ci sono rimasta male». Poi, per fortuna, è arrivata Sara Maria. «Il termine era il 16 maggio ma è nata il 13, il giorno che la Madonna è apparsa ai pastorelli di Fatima. È stato più che bello! Quando l’ho vista la prima cosa che ho sentito è stata: ecco, adesso la mia vita non mi interessa più, mi interessa solo lei. Ho pianto di gioia, ma mi sono anche spaventata». Sarà per quello che «sono molto protettiva, mio marito dice che esagero». Ora Sara ha 11 anni, e i ricordi della sua infanzia Tina li lega ai momenti più quotidiani. Come quella volta che «ho starnutito al supermercato e lei mi ha detto ‘Salute mio amore!’». Altro sorriso, altra luce.
Tina abita a Camignolo, «la Beverly Hills del Ticino», con la famiglia del marito che l’accoglie e la aiuta. Da sei anni fa le pulizie a laRegione, con un entusiasmo che mi ha sempre stupito: «Per me è il lavoro più bello del mondo». Il lavoro più bello, pulire i cessi? «Ma quello che conta è l’ambiente, io qui non mi sento mai invisibile». Poi certo, «ci sono le volte che trovo situazioni sgradevoli, e no momiento desespero (sic). Ma poi dico due parolacce e mi sono già sfogata: se metto su una bilancia le cose buone e la cacca, le cose buone pesano molto di più».
Il personaggio
Sizaltina Maria Correia Fernandes Ganna, detta Tina, è nata a Valdigem in Portogallo nel 1971. Dopo aver fatto la parrucchiera in patria, si è trasferita definitivamente in Svizzera nel 2002. Per qualche anno ha fatto la cameriera, ora fa le pulizie presso la sede de laRegione e Salvioni arti grafiche. È sposata con Francesco e ha una figlia undicenne, Sara Maria.