Io (sto) con me stesso. La rivincita degli introversi
E voi, vi sentite più rivolti verso chi circonda oppure preferite guardare al vostro mondo interiore, e tenervi ciò che fate e pensate?
Di Mariella Dal Farra
Pubblichiamo un contributo apparso su Ticino7, allegato del sabato a laRegione
Lo abbiamo sempre saputo che erano loro i preferiti. Loro che parlavano, scherzavano e stavano simpatici a tutti. Loro, che con un sorriso e una pacca sulla spalla sembravano risolvere qualunque problema. Loro che tenevano la musica a palla, che discutevano per ore senza stancarsi, che conoscevano chiunque. Gli estroversi, sono loro quelli che piacciono alla gente. E le ragioni sono tutte da scoprire.
Basta dare un’occhiata alle caratteristiche associate agli estroversi: sovente vengono descritte come persone “positive”, “socievoli”, “assertive”, “coinvolgenti”, “comunicative” e “gioviali”, laddove gli introversi sarebbero soprattutto “socialmente goffi”, “timidi” ed “evitanti”. Una recente rassegna degli studi condotti sull’argomento evidenzia come, anche in campo psicologico, l’introversione tenda a essere concettualizzata in negativo. Se ne parla cioè in termini di “bassa estroversione” piuttosto che come di un’attitudine dotata di una sua specificità. Un po’ come dire: “Non è vero, non sono introverso: solo diversamente estroverso”… (Blevins, D. P., Stackhouse, M. R., & Dionne, S. D. “Righting the balance: Understanding introverts (and extraverts) in the workplace”, International Journal of Management Reviews, 2021).
‘Agli estroversi piace interagire con le altre persone e per questo tendono a essere loquaci, assertivi e gregari’
È un mondo difficile…
Dunque ammettiamolo, una volta per tutte: il mondo appartiene agli estroversi; anche “il posto di lavoro è stato creato da estroversi, per gli estroversi”, come sottolinea Richard Etienne, che tiene corsi di formazione sul tema: “Gli open space sono la cosa peggiore – spiega –. La facilità con cui le persone possono accedere al tuo spazio senza essere invitate può rappresentare un’esperienza piuttosto intensa (…) per qualcuno che ha una personalità introversa: interagire costantemente può rivelarsi estenuante. Mentre gli estroversi sono galvanizzati dall’interazione sociale, alla fine della giornata una persona introversa è esausta, svuotata”. Ma questa “diversità” , come sfortunatamente accade spesso,
è sempre stata connotata in termini valoriali.
Il pregiudizio nei confronti degli introversi ha origini antiche, nel senso che risale quanto meno a Sigmund Freud: secondo il fondatore della psicanalisi, l’estroversione era un indicatore di maturità mentre l’introversione segnalava un “arresto dello sviluppo” o comunque presenza di nevrosi. Carl Gustav Jung invece, che per primo postulò l’esistenza di un continuum – come per molti tratti di personalità, la caratteristica presenta due polarità opposte, ma complementari fra loro – non si espresse circa la maggiore desiderabilità dell’una o dell’altra, limitandosi a descriverle come due modi diversi di relazionarsi al mondo. Nello specifico, come indica anche l’etimologia della parola, l’estroversione consisterebbe nell’attitudine a rivolgere l’attenzione al di fuori di sé e a trarre gratificazione dall’esterno. Agli estroversi piace interagire con le altre persone e per questo tendono a essere loquaci, assertivi e gregari; tipicamente riescono bene nel lavoro di squadra, a prescindere dal posizionamento. Inoltre amano socializzare in contesti ampi quali feste, attività di quartiere, manifestazioni, partiti politici eccetera.
‘Le persone estroverse si sentono energizzate dallo stare insieme agli altri’
‘Preferisco stare con me’
In generale, le persone estroverse si sentono energizzate dallo stare insieme agli altri e tendono ad annoiarsi facilmente quando sono da sole. L’introversione, per contro, corrisponderebbe alla propensione a trarre gratificazione dalla dimensione soggettiva, interiore. Gli introversi preferiscono svolgere attività che non prevedono necessariamente la presenza degli altri, come per esempio leggere, scrivere, meditare e, più in generale, riflettere. Queste persone tendono a concentrarsi su una cosa per volta, e a osservare le situazioni prima di lasciarsene coinvolgere. Nel complesso sembrano trovarsi meglio in ambienti tranquilli, con un basso livello di stimolazione ambientale. Inoltre trovano interesse nel lavoro intellettuale e di ricerca.
Secondo H. Eysenck, un altro importante psicologo che sul continuum “introversione-estroversione” ha costruito un’intera teoria della personalità, queste differenze hanno origine a livello cerebrale, e in particolare nei meccanismi di inibizione/eccitazione della formazione reticolare ascendente: la struttura responsabile del livello di attivazione psicofisica dell’individuo (“arousal”). Orbene, gli estroversi sarebbero caratterizzati da un grado di attivazione tendenzialmente basso, che cercherebbero di innalzare attraverso l’eccitazione suscitata dall’interagire con gli altri; gli introversi, invece, avrebbero un livello di attivazione fisiologicamente alto, ed eviterebbero dunque un’eccessiva esposizione a stimoli sociali per non andare in sovraccarico. Tutto ciò, naturalmente, in modalità squisitamente inconscia.
Formulato in questi termini, il nostro continuum tende a sovrapporsi a un’altra, psicologicamente ben nota, dicotomia: quella degli high versus low sensation seekers, ovvero di coloro che tendono a ricercare sollecitazioni nuove, intense ed eccitanti, meglio se corredate da una certa dose di rischio, come per esempio giocare in borsa, guidare ad alta velocità, praticare sport estremi – indimenticabile la rappresentazione di questa tipologia di soggetti fornita nel film Point Break, da vedere rigorosamente nella versione originale di Kathryn Bigelow del 1991 – in contrapposizione alle persone che invece tendono a “disinnescare” il potenziale eccitatorio delle situazioni, preferendo intrattenersi con attività più strutturate e routinarie. Insomma, dei noiosi, verrebbe da dire. Sì, ma paradossalmente, proprio perché non s’annoiano.
Gli introversi, e i loro cugini low sensation seekers, disporrebbero infatti di un sistema nervoso più sensibile alla dopamina, che è il neurotrasmettitore coinvolto nel cosiddetto circuito della gratificazione – quello che ci permette di provare piacere a fronte di una molteplicità di stimoli, siano essi di natura fisica, psicologica o sociale – e quindi, per così dire, gli basta poco per divertirsi; gli estroversi, al contrario, e in particolare gli high sensation seekers, sarebbero mediamente meno ricettivi alla dopamina, cosa che li spingerebbe a ricercare situazioni “adrenaliniche” per compensare.
‘Le persone introverse preferiscono svolgere attività che non prevedono necessariamente la presenza degli altri’
Inattesi effetti pandemici
Ora, a prescindere dalle determinanti neurologiche, resta il fatto che in una società improntata a competitività, individualismo e coazione alla visibilità un soggetto estroverso tende a ottenere riscontri migliori di un introverso. Questo è vero, o lo è stato, soprattutto in ambito lavorativo, ma nell’ultimo anno e mezzo qualcosa è cambiato… La pandemia ha modificato le regole del gioco, e il passaggio al lavoro da remoto sembra avere favorito gli introversi in almeno due modi differenti.
In primo luogo, consentendogli di lavorare in un contesto a bassa stimolazione ambientale (ovvero, dal salotto di casa) e con un controllo pressoché completo dell’interazione – quando, con chi, per quanto tempo – condizioni che, in molti casi, hanno comportato un incremento significativo della loro produttività. Il secondo motivo per cui gli introversi se la sono cavata meglio durante la pandemia risiede nelle loro specifiche caratteristiche: “L’attitudine empatica e la propensione per un modo di comunicare più riflessivo hanno fatto sì che gli introversi risplendessero”, afferma Beth Buelow, consulente di carriera e autrice di un libro sull’argomento (The Introvert Entrepreneur, 2015); “La tendenza a porre in luce gli altri, sostenere la squadra ed essere quel ‘silenzioso alleato’ si sono rivelati punti di forza. Questo è ciò che i manager e gli amministratori delegati hanno visto accadere. Improvvisamente, i clienti cercavano una persona empatica, un buon ascoltatore. Qualcuno che fosse capace di fare un passo indietro e dire qualcosa del tipo: ‘Spero stia andando tutto bene. Come possiamo esserle d’aiuto?’ (Kate Morgan, “Why introverts excelled at working from home?”, bbc.com, 16/7/21).
Parrebbe dunque che il disastro dell’ultimo anno e mezzo (quasi due ormai) abbia perlomeno avuto il merito di farci riscoprire, accanto al piacere della lettura e a quello dello sfornare pane casalingo, anche le virtù caratteriali di quei cenerentoli degli introversi che, per così dire, hanno avuto la loro (lunga) notte da reginette del ballo. Che l’introversione continui a essere “di tendenza” anche quando (quando?!) si sarà tornati alla normalità, è tutto da vedere. Nel frattempo (e questo è un coming out)… godiamoci il momento.
ALCUNE PRECISAZIONI
• In realtà, quasi nessuno è puramente introverso o estroverso: trattandosi di un continuum, la maggior parte delle persone “cade” in una zona intermedia, caratterizzata cioè da attitudini più sfumate, all’interno delle quali possono prevalere tonalità dell’uno o dell’altro segno. Questo anche perché la “personalità” è faccenda assai più dinamica di quanto ci immaginiamo.
• La riprova è fornita dal fatto che esisterebbero anche soggetti “ambiversi”, ovvero con attitudini miste e quindi capaci di comportarsi come introversi o estroversi a seconda del contesto, degli obiettivi e dell’umore. Questa tipologia rappresenterebbe la soluzione migliore, perché flessibile e quindi più adattiva.
• Spesso si tende a confondere l’introversione con la timidezza, ma si tratta di due cose ben distinte. La persona introversa tende a trascorrere del tempo da sola perché questo le consente di “ricaricare le batterie” e fare spazio per nuovi incontri: agli introversi piace stare con gli altri, anche se non continuativamente. La persona timida, invece, rifugge il contatto sociale per timore del giudizio altrui: si tratta quindi di una forma d’insicurezza, superata la quale il soggetto può anche scoprirsi gioiosamente estroverso.