Tecnofeudalesimo: oligarchie tech e nuovi vassallaggi

Si dice che il capitalismo abbia i giorni contati e farà spazio a un’era in cui il potere economico sarà nelle mani di poche aziende tecnologiche
Di Mirko Sebastiani
Pubblichiamo un contributo apparso su Ticino7, allegato a laRegione
Si dice che il capitalismo così come lo conosciamo oggi abbia oramai i giorni contati. La sua fine farà spazio a un’era in cui il potere economico sarà concentrato in poche mani e in poche aziende tecnologiche, che parcellizzeranno il lavoro su piattaforme digitali (nuovi feudi) dove la gig economy potrà dare il meglio di sé, rendendoci tutti – chi più, chi meno – moderni schiavi del sistema. Pare la descrizione di un gioco di ruolo fantascientifico, ma, forse, è già realtà…
Per tutti gli appassionati di storia che almeno una volta nella vita hanno desiderato di poter vivere l’esperienza del Medioevo, ho delle buone notizie. Nel mese di gennaio, quando Trump è entrato in carica come 47esimo presidente degli Stati Uniti, diversi media, per descrivere l’evento, hanno utilizzato infatti un linguaggio ricco di riferimenti monarchici, ad esempio quando si parlava di come “all’incoronazione” di Trump fossero presenti diversi miliardari (Musk, Bezos, Zuckerberg e compagnia bella) per “baciare la pantofola”. Una scena che ricordava dei signori feudali giunti a corte per porgere i propri omaggi al nuovo regnante. E se a livello geopolitico si sta vivendo una “vivace” esperienza da inizio ’900, è l’economia a essere entrata in una fase più medievaleggiante: secondo molti esperti infatti, l’era del capitalismo come lo conosciamo è giunta agli sgoccioli, mentre stiamo entrando (o forse ci siamo già dentro) nell’era del tecnofeudalesimo.
Feudalesimo digitale
Il termine tecnofeudalesimo – reso popolare dall’economista ed ex ministro delle Finanze greco Yanis Varoufakis – fa riferimento a un modello in cui il potere economico è estremamente concentrato in poche aziende tecnologiche, e rende le piattaforme da esse possedute delle specie di feudi. Piccolo ripasso per chi non si ricorda cosa sia il feudalesimo tradizionale: nel sistema feudale, il potere era detenuto da un’élite aristocratica (i signori feudali) che possedeva le terre nelle quali ai contadini veniva concesso di lavorare per la propria sussistenza in cambio di tasse e protezione. Dunque se un contadino voleva coltivare e allevare cibo per supportare se stesso e la propria famiglia, era obbligato a farlo nelle terre detenute dagli aristocratici.
Oggi avviene lo stesso, però anziché le terre, siamo costretti a lavorare all’interno di piattaforme digitali. Basti pensare ai titani della gig economy (modello economico basato sul lavoro a tempo determinato o freelance, a chiamata e occasionale) come Uber o Airbnb, che offrono sì a molte persone la possibilità di lavorare e fare soldi, ma che creano uno stato di servilismo assoluto. Loro decidono i prezzi, i dati richiesti, le commissioni e le tasse a cui sono assoggettati i loro utenti, e anche se qualcuno decidesse di mettersi in proprio, ad esempio offrendo un servizio di taxi, la competizione con queste aziende sarebbe estremamente sproporzionata.
Quante persone poi fanno pubblicità sulle piattaforme social, senza le quali molte attività non avrebbero la visibilità necessaria per vendere i loro prodotti? Quanti hotel tirano avanti grazie a Booking, e quanti ristoranti grazie a TripAdvisor? E che dire della galassia di servizi offerti da Google, come Gmail, Drive, Maps e quant’altro? Quanti imprenditori sarebbero in grado di sopravvivere senza questi servizi? Per non parlare poi di intere nazioni che vogliono affidare le loro comunicazioni militari a un’azienda privata straniera come Starlink…
Peggio del capitalismo
Se a una prima occhiata il tecnofeudalesimo può apparire come una naturale evoluzione del sistema capitalistico, i sostenitori di questa teoria ci dicono invece di come esso costituisca la fine del capitalismo come lo conosciamo.
Una delle differenze più sostanziali è quella dei rapporti lavorativi: nel capitalismo tradizionale il lavoro salariato si fondava su rapporti contrattuali e una serie di garanzie come la protezione sociale. Nel cosiddetto tecnofeudalesimo, invece, la gig economy e il lavoro attraverso piattaforme digitali generano rapporti di dipendenza unilaterali e aleatori. Così come un signore feudale poteva sfruttare liberamente un contadino (o disfarsi di lui), così le grandi piattaforme non hanno nessun obbligo verso le persone che ne usufruiscono. E allo stesso modo in cui un contadino non sarebbe mai diventato un nobile, indipendentemente dal lavoro svolto, nessun autista di Uber entrerà mai nel Cda dell’azienda.
A favore di pochi
C’è poi il più concreto rischio di accentrare il potere dell’economia mondiale nelle mani di pochi oligarchi. Nel già citato episodio dell’incoronazione di Trump, i giganti del tech presenti – che la stampa ha ribattezzato broligarchi, seguendo la tendenza a stelle e strisce di dare a ogni cosa il nomignolo più memabile possibile (pensate al DOGE) – erano e sono di fatto individui che da soli possiedono più capitale di intere nazioni. Perché recarsi a Washington per ingraziarsi il presidente dunque? Perché il potere non è mai abbastanza.
© Keystone
I ‘broligarchi’ (da sx: Zuckerberg, Bezos, Pichai e Musk) nel gennaio 2025, durante l’inaugurazione presidenziale di Trump
Questo accentramento del potere rende di fatto aziende private, che dovrebbero limitarsi a fornire beni e servizi, capaci di avere una forte influenza politica, come dimostra l’attività di Elon Musk alla Casa Bianca. E non dimentichiamoci che questo strapotere blocca la strada ai giovani, agli imprenditori, alle start-up, a tutto ciò che minacci lo status quo. Di recente, l’imprenditore australiano Daniel Priestley ha detto in un podcast che “i miliardari hanno due cose che li tengono svegli la notte: l’idea di dover pagare più tasse e la possibilità che qualcuno arrivi con un prodotto migliore del loro”.
Vie d’uscita
Purtroppo non stiamo parlando di una minaccia appartenente al futuro, ma di un cambiamento in atto ormai da anni. Eppure ci sarebbero delle soluzioni per evitare che il problema si aggravi. Tanto per cominciare i governi dovrebbero applicare regolamentazioni più stringenti per evitare l’accentramento del potere economico in poche piattaforme, oltre a riconoscere e tutelare i diritti dei lavoratori della gig economy, garantendo contratti più stabili, salari minimi e accesso a sistemi di protezione sociale. Si dovrebbero poi agevolare la concorrenza e la comparsa di soluzioni alternative più sostenibili, investendo in soluzioni digitali pubbliche e/o decentralizzate. La popolazione andrebbe inoltre educata maggiormente sul valore dei propri dati, sui propri diritti in quanto insieme di consumatori e utenti di piattaforme digitali, spingendo al contempo le aziende verso una maggiore trasparenza.
Stiamo parlando di cambiamenti che non avvengono dall’oggi al domani, e che necessitano di una forte spinta dal basso da parte di cittadini che hanno a cuore il futuro della democrazia. Perché se aspettiamo che gli ultraricchi decidano improvvisamente di dare priorità al benessere delle persone rispetto al proprio portafoglio, facciamo prima a rassegnarci all’idea di star assistendo all’inizio di un nuovo Medioevo economico.
Però guardiamo all’aspetto positivo: abbiamo il vantaggio di assistere alla fine del capitalismo comodamente seduti sul divano, e perfino in alta risoluzione.