Cibo: la sorpresa che non ti aspetti

Ogni anno dai negozi e dai supermercati decine di alimenti e confezioni sono richiamati perché contengono “corpi estranei” (non commestibili).

Di Marco Jeitziner

Pubblichiamo un contributo apparso su Ticino7, disponibile anche nelle cassette di 20 Minuti per tutto il fine settimana.

Un dente nel pane alle noci venduto da un noto supermercato. È quanto ha trovato lo scorso dicembre una donna a Basilea, riporta 20Minuten. «Una cosa del genere non deve e non può accadere» ha risposto il portavoce del negozio. Eppure succede. Anche ai ticinesi, stando ai commenti sulla notizia apparsa in un noto portale: c’è chi nei cibi ha trovato «insettini neri», «un’unghia tagliata», «un piccolo bullone». E ve lo conferma anche chi scrive: pezzi di vetro nell’insalata, persino un tappo in acciaio per il lavello nella lattuga… Ma com’è possibile? 

136 sono state nel 2018 le notifiche dell’UE per rischio di corpi estranei negli alimenti.
78 i casi indicati come di «serio pericolo».
20 gli allarmi notificati invece in Svizzera.
7 le contaminazioni da corpi estranei con rischio fisico.
(fonte: Rapporto 2018, RASFF-Unione Europea)

’Dieci allarmi al giorno‘

Nel novembre 2018 la Coldiretti italiana, con altre organizzazioni agricole europee, ha denunciato quasi «dieci allarmi sul cibo al giorno», tra cui i cosiddetti «corpi estranei», cioè qualunque materia che non c’entri nulla con la derrata alimentare (vetro, metallo, gomma eccetera). Per arginare questa piaga l’Unione Europea (UE) si è dotata già nel 2002 di un Sistema di allerta rapido per gli alimenti, in gergo «RASFF», attualmente diretto da Koen Van Dyck, alto funzionario della direzione generale «Salute e sicurezza alimentare» della Commissione europea. Come funziona? Ognuno dei 28 Paesi collegati a RASFF segnala i prodotti sospetti o a rischio, così che tutti ne vengano informati immediatamente, Svizzera inclusa. Alcune cifre del 2018: 136 notifiche per corpi estranei nel cibo, di cui 2 dalla Svizzera, per un totale di 78 casi valutati come seriamente a rischio (86 nel 2017), il più delle volte nella frutta e verdura provenienti dalla Germania. Rispetto alle tonnellate di derrate prodotte e vendute ogni giorno in Europa questi sono pochi casi, eppure ogni anno si trovano residui duri di «plastica, metallo e vetro» nel cibo che possono, secondo il RASFF, causare anche «lesioni all’apparato digerente». 
Ecco i residui più diffusi nei cibi: plastica nei «cereali e prodotti da forno»; metallo nei «piatti e spuntini preparati» o nel «latte e prodotti del latte»; vetro nella «frutta e verdura»; «insetti» nella «confetteria»; «pezzi di gomma» nella «carne e prodotti di carne» (non pollame); pezzi «taglienti», frammenti di «conchiglie» nelle «noci, prodotti a base di noci e semi»; «aghi» e addirittura «topi morti» negli «alimenti dietetici, integratori alimentari, cibi arricchiti». Buon appetito? 

L’industria si difende

La filiera alimentare odia questi incidenti, perché comportano «richiami di prodotti costosi e dannosi», «perdita di entrate dirette» e altre seccature, dalla gestione della crisi alla comunicazione, dalla reputazione del marchio al boicottaggio dei consumatori eccetera. Così spiega l’esperto Duncan Goodwin sul New Food Magazine, organo d’informazione dell’industria alimentare britannica. 
Ma se l’industria prende seriamente il problema, a volte tende a sdrammatizzare. Gli episodi, sostiene Luigi Norsa, titolare di una società di consulenza a Milano per le crisi aziendali, sono «fortunatamente rari», e al massimo causano «lesioni alla bocca o danni ai denti», dichiara a ilfattoalimentare.it. Nella letteratura scientifica, dice, «non ci sono casi di danni all’apparato digerente dovuti all’ingestione accidentale di frammenti di vetro». Goodwin invece va oltre: molto spesso sarebbe colpa di consumatori disordinati e pasticcioni, i produttori verrebbero «erroneamente» accusati. Lo dimostrerebbe uno studio del 2013 secondo cui «il 70% dei frammenti segnalati dai consumatori», poi analizzati, «erano dovuti ad elementi che si trovano comunemente in casa». Solo il 30% sarebbe imputabile all’industria. 
Ma è davvero così? La reazione dei consumatori, tra i quali ci sono certamente dei pasticcioni, è spesso emotiva. E non tutti i corpi estranei, nemmeno il vetro, sono sempre pericolosi se ingeriti, confermano i medici. Ma quando scopriamo che lo studio citato da Goodwin l’ha fatto un’azienda privata di ricerca sul vetro, ci viene qualche dubbio sulla sua imparzialità. La società si definisce «indipendente» ma in realtà riceve fondi privati, inoltre fa parte della lobby britannica del vetro. Non sembrano esistere prove scientifiche che incolpano soprattutto i consumatori. Su researchgate.net abbiamo trovato solo uno studio che va in questa direzione, ma stranamente non è referenziato e non è mai stato citato dalla comunità scientifica. E se poi l’autrice, Laurence Gibbons, collabora con l’industria manifatturiera britannica di alimenti e bevande, forse un motivo c’è. Più realistico ci pare proprio Van Dyck che, a un simposio del 2013 sulla filiera della carne, ha parlato di «responsabilità condivisa» tra legislatori, produttori e clienti. L’industria, diceva, «vorrebbe andare più veloce» ma servono «dati scientifici validi», che però non ci sono. Anche per due ricercatori britannici, David Wright e Rene Friedrichs, «solo un’indagine adeguata» può dire se del vetro nell’insalata è «un incidente unico» imputabile al produttore, oppure a «frodi o incidenti a casa del cliente». 

Il fattore umano

Ma se l’errore è aziendale, perché succede? Il RASFF afferma in modo generico che i corpi estranei finiscono nei prodotti «durante la produzione», e questo benché l’industria adotti un sistema inventato addirittura dalla NASA per garantire la salubrità dei cibi («Hazard Analysis and Critical Control Points»). Secondo Goodwin ci sono poi altri sistemi di controllo: filtraggio (risciacquo degli imballaggi), setacciatura (con metal detector), ispezione fisica (scansione ai raggi X), utilizzo di magneti, test chimici, sofisticati microscopi, calorimetri, spettrometri e quant’altro. Insomma, l’industria fa davvero il possibile, eppure… Per
Goodwin «la chiave è nell’ispezione, la manutenzione e la pre-pulizia delle apparecchiature di imballaggio prima del riempimento», ma proprio «la manutenzione è spesso la causa della contaminazione». 
Se i macchinari sono vecchi, non revisionati, possono disperdere metallo o gomma, ma per l’esperto britannico «il rischio maggiore in qualsiasi azienda è il comportamento umano», perché «in molti casi» l’impiegato «non capisce» o «applica erroneamente» le informazioni che riceve. Bisogna anche considerare che il cibo nei negozi è solo l’ultima tappa di una lunga catena di processi. La contaminazione, spiega GastroSuisse, può avvenire in qualunque fase: fornitura («imballaggi sporchi, difettosi, a contatto diretto con il pavimento, veicolo di consegna sporco»), stoccaggio («separazione puro/impuro non rispettata»), di produzione («igiene personale non rispettata», «macchinari non montati correttamente o difettosi»), di preparazione o cottura («utensili difettosi»), di trasporto e vendita («derrate alimentari non protette/coperte» eccetera). 

La lezione europea

Vi sbagliereste credendo che, con quello che costa il cibo in Svizzera, la nostra industria alimentare sia più affidabile di altre e che le nostre leggi ci abbiano tutelato meglio. Per fortuna la Svizzera si è adeguata agli standard dell’UE allacciandosi al RASFF, il cui concetto risale già al 1979, mentre il nostro Paese non ha mai conosciuto niente di simile, ci conferma il chimico cantonale aggiunto Nicola Forrer. La Svizzera ha negoziato il RASFF con l’UE molto tardi, solo nel 2008, aderendovi l’anno seguente. Se Berna non l’avesse fatto, l’export alimentare ci avrebbe rimesso, così come l’informazione ai consumatori svizzeri sugli alimenti importati dall’UE. È lo stesso Consiglio federale che nel 2009, in un rapporto, ammetteva che il diritto comunitario in materia «è più rigoroso», soprattutto per i «sistemi di allarme rapido». «Lo scambio di informazioni è però garantito dalle autorità cantonali d’esecuzione e dall’Ufficio federale della sicurezza alimentare e di veterinaria», cioè l’USAV, e questo già dal 1992, precisa Forrer. Resta che la legge UE «non conosce valori di tolleranza» sulle contaminazioni, prevale cioè sempre la protezione della salute; invece si scopre che la vecchia legge svizzera sulle «sostanze estranee» era molto più tollerante: prevaleva il curioso principio «il meno possibile, ma quanto necessario». 
La bontà del sistema europeo sembra aver rivelato tutte le lacune svizzere proprio nel 2009. Nel rapporto RASFF di quell’anno si legge che ben «15 delle 18 notifiche» da Paesi non UE, come anche Stati Uniti e Canada, «sono state fornite dalla Svizzera», e questo nonostante tutti i controlli cantonali e federali che c’erano. Sorge allora qualche legittimo dubbio. Il nostro sistema di «qualità svizzera» era davvero efficace? Le autorità competenti erano forse troppo «buoniste» verso il dovere di autocontrollo di un’industria, quella alimentare, tra le più importanti del Paese e che fattura miliardi? Quanto accaduto ancora nell’agosto 2017 si commenta da sé. L’USAV ha inviato una lettera agli addetti ai lavori spiegando cosa intende per «obbligo di ritiro o di richiamo» di cibi «pericolosi per la salute», contenenti «corpi estranei» come «frammenti di metallo o vetro». Se l’ha fatto, vuol dire che non era chiaro a tutti. 
Per i consumatori svizzeri, quindi, il RASFF è un vantaggio, e in definitiva anche per le aziende. Ben più complicato è farsi risarcire dalle assicurazioni, come dimostrano varie sentenze anche ticinesi. Tocca ai danneggiati «rendere verosimile» l’incidente. Una sentenza del 2003 del Tribunale federale dice che «il semplice fatto di presumere» che la causa di un danno sia un sassolino nel Müesli «non è sufficiente». Un consiglio? Non buttate mai il corpo estraneo.

ALCUNI ESEMPI RECENTI

Sono le aziende, i laboratori cantonali e gli stessi consumatori che scoprono gli alimenti pericolosi. Ecco, stando all’Ufficio federale del consumo e al Laboratorio cantonale ticinese, che cosa abbiamo rischiato di mangiare negli ultimi anni. 

Gomma/metallo nel quark
Novembre 2019. Un grande produttore/distributore svizzero richiama due tipi di quark in bustine morbide refrigerate per rischio di lesioni. 

Vetro nelle ciliegie
Giugno 2019. Un grande produttore/distributore svizzero richiama le vaschette di ciliegie a basso prezzo per la possibile presenza di schegge
di vetro. 

Legno nelle patatine
Dicembre 2017. Vengono ritirate le confezioni di chips di un produttore olandese per la presenza di pezzetti di legno. 

Plastica nella fondue
Ottobre 2017. Un grande produttore/distributore tedesco richiama le confezioni di «fondue chinoise» di tacchino perché contengono pellicola di plastica. 

Vetro nel condimento
Ottobre 2017. Un produttore svizzero richiama due tipi di dadi per condire l’insalata: la confezione potrebbe contenere schegge di vetro e causare ferimenti.

Vetro nella bevanda
Maggio 2017. Il produttore di una famosa bevanda svizzera richiama alcuni prodotti in bottiglia di vetro: presenza di residui di vetro a causa di un vecchio impianto di imbottigliamento.

Metallo nei carciofi
Marzo 2010. Scatta l’allerta per del metallo nelle scatole di carciofi di un produttore italiano. 

 

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