Tradizioni a spasso

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Di laRegione

Passati i tempi di «Ticino, terra d’artisti» e rispedito al mittente per indignazione il luogo comune che identificava il cantone con l’accoppiata mandolino & boccalino – tutta colpa della povera Nella Martinetti, si diceva, e della grande gioia che sapeva trasmettere oltre Gottardo –, quel che rimane oggi (per modo di dire, nessuno si offenda) è un gran proliferare di camminate enogastronomiche. Tutto l’anno, con gli sci e le ciaspole o sotto il sole tropicale di luglio, a piedi, in bicicletta o accompagnati da comodi bus gran turismo, partendo dai piedi della Greina e arrivando alla colline del Mendrisiotto. È un modo per scoprire «le ricchezze del nostro territorio», come vuole la liturgia del fine settimana proposta sulle frequenze radio. Salumi, insaccati, vino, pane, miele, gusta e bevi, food truck, ridi, cantatela e suonatela, stai con noi in compagnia e godi sin che puoi, «che di doman non c’è certezza»… La formula pare funzioni, altrimenti non vivremmo dodici mesi l’anno con bicchieri e piatti di plastica in mano. Prima c’erano il santo Carnevale e la risottata, il minestrone, le costine ai grotti e la polenta con spezzatino, i pescetti fritti, la castagnata e un po’ di rosso. Oggi ci si è fatti prendere la mano, e le tradizioni legate al ciclo delle stagioni e la cultura rurale – che rimane, giustamente, radicata nel cantone – sono diventate vetrine per vendere un territorio che, salvo smentite, pareva fosse alla ricerca di un’identità nuova e diversa, appena più discosta dalla solita panza piena (e moglie ubriaca). Dai, era meglio tenerci il boccalino, almeno eravamo tutti seduti e in buona compagnia.

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