Patrie

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Di laRegione

Che cosa ci rende cittadini di una nazione piuttosto che di un’altra? Che cosa – al di là di un passaporto e del beneplacito di questa o quella burocrazia – ci permette di chiamare un posto «casa nostra»? Un tempo
la definizione di patria pareva chiara e precisa: la terra dei nostri padri, «una d’arme, di lingua, d’altare,
di memorie, di sangue e di cor», per dirla con Manzoni. Definizione invero già obsoleta per la Svizzera, almeno per quanto concerne lingue e altari. Oggi rispondere alla domanda è più difficile. Non solo perché – come
si sente ripetere fin troppo spesso, talora a sproposito – siamo immersi in un contesto globalizzato, multietnico e multiculturale.
Ma anche perché lo stesso concetto
di nazione è stato screditato dalle derive del nazionalismo novecentesco. Visto che abbiamo da poco dedicato un approfondimento al latino, potrei cavarmela con Seneca: ovunque
è la patria del saggio. O meglio
– poiché nutro ragionevoli dubbi circa la mia e altrui saggezza – scomodare Cicerone: la patria è dove si sta bene. Che mi pare poi la definizione più umile e inclusiva (perfino
il pusillanime Don Abbondio la fece sua). O ancora tornare al locale,
e inventarmene una io: sei ticinese
se quando uno ti dice che va in vacanza a Rodi, pensi alla Leventina
e non alla Grecia. La patria, insomma, è una dimensione fluida: qualcosa che si crea partecipandovi, con affetto e rispetto. Senza voler ammannire ai lettori una lettura ideologica, la copertina di questo numero esprime questa convinzione.

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