Noi, «ragazzi» di oggi…

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Di laRegione

Crisi è la parola chiave del nuovo millennio. Non che «una volta» i periodi di purgatorio non ci fossero, è che tutto avveniva con tempi talmente dilatati che la vita lavorativa di una persona raramente era sufficiente per apprezzare i risvolti della società che mutava.
E la crisi, interiore, te la risolvevi davanti allo specchio e contando i tuoi risparmi. Oggi sono i paradigmi a essere cambiati. Spariti i risparmi, soffocati da una vita dove tutto costa, anche l’età è materia prossima al relativismo. Quella anagrafica, quella percepita e quella che ti dicono che avresti. Superi i 35 anni e ti danno del ragazzo. Ne hai 6, qualcuno crede tu sia già un adolescente e ti appioppano come minimo il telefonino. Ne hai 80 suonati, i dolori non ti mollano ma in fondo la vita ti sorride (casse malati incluse). Senza dimenticare le quasi nonne che diventano neo mamme… E secondo voi, uno che di anni ne ha appena 20, quattro di questi parcheggiato in una scuola superiore, che l’apprendistato «no, perché mi diventa un operaio», che i soldi tanto te li danno i genitori, che il lavoro estivo «non so», che lo stage «non ti pagano»… e poi tanto «c’è la crisi, mica è colpa mia?».
E perché mai un 20enne, oggi, non dovrebbe demoralizzarsi? Quando il sistema occupazionale lo permetteva («una volta»), di fronte alle crisi uno se ne andava alla ricerca di sé. Chi poteva in India – tema del nostro Sette continenti –, chi in un centro sociale a Ginevra, giusto per schiarirsi le idee. Poi tornava e si rendeva conto che nell’eterna periferia ticinese alla fine, dai, un lavoretto e quattro salti in discoteca erano il minimo sindacale. In attesa di tempi migliori, chissà.

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