Imparare a vedere

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Di laRegione

L’essenziale è invisibile agli occhi, diceva la volpe al Piccolo principe. E forse è quello che dovremmo ripeterci ogni giorno anche noi, che abbiamo la fortuna di avere la bellezza a portata di sguardo, ma non sempre ne siamo consapevoli. Vivere in un Paese dominato da rilievi e cime innevate come la Svizzera significa infatti stare più vicini al punto in cui la terra tocca il cielo, più prossimi all’essenza delle cose. Eppure, quante volte ce ne ricordiamo? Quante volte preferiamo abbandonarci alle storture quotidiane, magari rincorrendo la frenesia dei nuovi media, con l’imperativo di vedere tutto subito, per dimenticarlo poco dopo? La montagna ci insegna il contrario: mette costantemente a confronto con il passato, geologico e storico, riconnettendoci alle nostre radici; e ci parla del futuro, dello sforzo e dell’impegno necessari per conquistare qualunque vetta. Un po’ come ha fatto il cinema, che nel Novecento ha insegnato alle persone a «vedere»: educando l’occhio collettivo alla vicinanza del primo piano o alla distanza del panorama, e utilizzando il passato, reale o ricostruito, per suggerire qualcosa sul presente. Il matrimonio tra montagna e cinema, dunque, non poteva che essere fecondo. Abbiamo deciso di ripercorrere la storia di questo legame, perché inestricabilmente legata al nostro Paese e alla sua immagine globale. E anche perché oggi il cinema – il documentario, così come la finzione – pare investito di un nuovo compito: conservare la memoria delle nostre valli per tenere traccia di una parte fondamentale della nostra identità. Per ricordarci cos’era la «socialità» prima che diventassimo «social». <br>Di Francesca Monti

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