Astronauti sociali

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Di laRegione

Nel 1930 l’economista John Maynard Keynes – uno dei pochi che potevano permetterselo – formulò due spiazzanti profezie: nel giro di cent’anni, scrisse, i nostri standard di vita sarebbero migliorati fra il 400 e l’800%, e la settimana lavorativa si sarebbe ridotta a 15 ore. Mentre la prima previsione si è rivelata assolutamente azzeccata, continuiamo a lavorare come matti e per molti di noi le settimane sembrano non finire mai. Riuscirà l’economia 4.0, della quale parliamo nel nostro approfondimento, a permetterci di avere più tempo libero? Da bambino, alla domanda «cosa vuoi fare da grande?» i miei compagni rispondevano pompiere, medico, astronauta. Io rispondevo «pensionato». Per cui, che diavolo, spero bene che robot e digitalizzazione ci liberino almeno dai compiti più noiosi, usuranti e ripetitivi, aspetto sul quale tutte le previsioni sembrano concordare.
Ma sono anche abbastanza pessimista da non farmi grandi illusioni: come Leopardi, diffido di chi millanta «magnifiche sorti e progressive», specie se lo fa ricicciando termini di moda come startup e smart working. Come spiega bene Mariella Dal Farra,
il futuro potrebbe sconfessare tanto gli ottimisti – quelli che sperano in un otium pagato dalla produttività delle intelligenze artificiali – quanto gli «apocalittici» che prevedono disastri sociali e disoccupazione diffusa. Quanto al vedere la pensione: oggi inizio a credere che mi sarebbe più facile diventare astronauta.

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